I morti non muoiono

È evidente che gli zombi, provenienti dalla cultura haitiana con valenza politica ma trasformati da George Romero in simbolo di lotta di classe, tumulto razziale, distruzione del sistema vigente e istinto contro razionalità, possono essere usati con diverse finalità. Possono essere horror puro, contando sul fatto di essere tra i mostri classici i più realistici e inquietanti. Possono essere simbolo altrettanto puro, ponendosi come fustigatori dell’umanità progredita costretta a confrontarsi con le radici primitive. Possono essere il grottesco portato alle estreme conseguenze se usati in chiave di commedia o farsa. Possono spaventare o divertire, a seconda dei casi.

Ma se degli zombi si interessa Jim Jarmusch, cineasta ostinatamente indipendente, esistenziale, talvolta filosofo, revisore degli schemi esistenti, capace di sguardi trasversali che modificano realtà apparentemente consolidate, dovrebbe essere lecito attendersi qualcosa di diverso e interessante. Così com’è, invece, I morti non muoiono lascia interdetti se non indifferenti. Presentato in apertura del recente festival di Cannes, rielabora la saga dei morti viventi dando l’impressione di non sapere esattamente dove andare e limitandosi a giochi verbali che, a tutti gli effetti, riguardano soltanto i vivi e lasciano i mostri (che, è bene ricordarlo, siamo sempre noi) quasi in secondo piano, come fossero poco più del trauma scatenante per indicare l’assoluta inadeguatezza dell’umanità. Detta così, è storia vecchia. E forse lo è davvero.

A Centerville, Ohio, i morti escono dalle tombe e attaccano i viventi per cibarsi delle loro carni. I nuovi morti si rialzano a loro volta rendendo la piaga ingestibile. Sembra che tutto ciò sia dovuto allo spostamento dell’asse terrestre e alla frattura della calotta polare. Gli ultimi rimasti a tentare di arginare il fenomeno sono lo sceriffo Cliff Robertson, il suo vice Ronnie Peterson e la poliziotta Mindy Morrison. In più, la nuova impresaria delle pompe funebri, Zelda Wiston, che parla con un accento strano e usa la katana con abilità superiore. Naturalmente dovranno soccombere.

Riesce molto difficile individuare ne I morti non muoiono una tematica che ne giustifichi l’esistenza. Il titolo originale, The Dead Don’t Die, è lo stesso di un film televisivo di Curtis Harrington del 1975 che ipotizzava un’armata di zombi alla conquista della Terra. Ma nient’altro lega i due film. Si dovrebbe casomai considerare che il titolo pronunciato tutto d’un fiato darebbe origine a un Dededdondai che potrebbe anche essere il refrain di una filastrocca per bambini. Un gioco, nient’altro, nel quale rimarrebbero coinvolti tutti i protagonisti.

I dialoghi tra Robertson e Peterson, ad esempio, hanno la tendenza ad essere stolidamente ripetitivi finché non tirano in ballo un buffo metacinema. Peterson continua a ripetere: «Ho la sensazione che questa storia finirà male». E quando Robertson, esasperato, gli chiede come faccia a dirlo, lui risponde: «Ho letto il copione». E Robertson, di rimando: «Ma come, tutto il copione? A me Jim ha dato soltanto le parti che mi riguardano». E quando arriva un disco volante a prelevare qualcuno, Peterson afferma: «Questo però nel copione non c’era».

È evidente che l’intento di Jarmusch è quello di smarcarsi dall’horror, dal simbolismo e dal cinema stesso, ma senza un’alternativa che non sia l’anarchia totale. E anche gli zombi che tornando dall’aldilà dicono «Chardonnay» o «Wi-fi» memori delle loro passioni da vivi, non solo non sono i primi della loro categoria a parlare, ma francamente dicono cose molto prevedibili. Pur continuando a dichiararci estimatori di Jim Jarmusch, che ha fatto film che ricordiamo molto bene, ci tocca considerare I morti non muoiono una specie di vacanza. Un film che non fa paura, fa ridere pochissimo e, soprattutto, non sembra avere molto da dire.

I MORTI NON MUOIONO (The Dead Don’t Die) di Jim Jarmusch. Con Bill Murray, Tilda Swinton, Adam Driver, Tom Waits, Danny Glover. USA 2019; Grottesco; Colore