Unsane

Il dato appariscente, che in un certo senso dovrebbe elevare il film da un punto di vista tecnico, è che è stato girato interamente con l’Iphone. Non è una novità: se ne sono serviti tra gli altri Sean Baker in Tangerine e Malik Bendjelloul in Sugar Man. E allora accantoniamo per un attimo lo stile di ripresa per concentrarci sul narrato.

Apparentemente il film di Soderbergh dovrebbe essere un thriller sull’ossessione (a più livelli) cosparso di simboli che dovrebbero astrarre dal thriller per portare a qualcos’altro. Ed è proprio questo che non ci è riuscito di capire, al punto da pensare che l’aspetto simbolico sia una sorta di specchio per le allodole e che tutto il film giochi sui colpi di scena, sulle esplosioni di violenza e sulle forti emozioni per attirare il grande pubblico. Colpiscono soprattutto una macroscopica falla logica che renderebbe il tutto impossibile da credere e una serie di errori sulle modalità di ricovero in cliniche per la salute mentale che fanno pensare alla volontarietà solo per poco: almeno finché non ci si convince che l’aspetto simbolico non esiste.

Sawyer Valentini ha lasciato Boston per trasferirsi in Pennsylvania in quanto perseguitata da uno stalker che le ha reso la vita impossibile. Ma anche nella nuova città di residenza lo vede dappertutto: per strada, sul posto di lavoro, in luoghi nei quali effettivamente non dovrebbe essere. Consapevole che la propria ossessione potrebbe essere cattiva consigliera, Sawyer si rivolge a un centro d’igiene mentale dove, senza saperlo, firma un documento che ne autorizza il ricovero volontario. E come se non bastasse, il suo persecutore è proprio lì che svolge lavoro da infermiere. E siccome Sawyer trova difficilissimo ascoltare i consigli di chi la invita a chinare il capo e ad attendere la fine del ricovero, la situazione si fa sempre più insostenibile.

La domanda che uno dovrebbe porsi, semplice semplice, è come sia possibile che lo stalker si sia fatto assumere come infermiere (al posto di uno che lui ha ucciso) proprio nella clinica nella quale Sawyer cercherà aiuto. Cioè, come abbia potuto sapere prima che la ragazza avrebbe scelto proprio quella clinica. È ovvio che la risposta non c’è. Bisogna prenderla per buona cominciando ad entrare nell’ordine di idee che tutto è fatidico e che non si possa fare niente per sfuggire al proprio destino. A questo punto, però, lo stesso destino invoca la fatalità che lo stalker ami perdutamente Sawyer e che quindi lei sia comunque destinata a stare con lui.

Sembra evidente che Soderbergh non sia in grado di gestire una materia tanto ambigua, fatta di coincidenze, apparizioni, sedativi a gogò, medici assenti e comportamenti oltre il confine della logica. Tanto per non farsi mancare niente, l’autore immagina anche che nella clinica un paziente legato e sedato possa trovarsi nella medesima stanza insieme ad altri ricoverati, che in quella stanza si trovi un orologio di plastica appeso al muro facilmente asportabile per trasformarne le diverse parti in armi d’offesa e che la durata del ricovero possa essere arbitrariamente decisa dal primario o dall’amministrazione (più facilmente da quest’ultima) senza che ci sia bisogno di un’ordinanza degli organi di giustizia.

Le imprecisioni sono così palesi che continuiamo a chiederci se ci sia qualcosa dietro. Ma, siccome non si può neanche invocare la critica al sistema delle assicurazioni sanitarie americane, tocca tenersi il thriller e accettare tutto. O niente. A partire dal fatto che la Sawyer interpretata da Claire Foy è un personaggio indisponente e antipatico nel quale è praticamente impossibile immedesimarsi. E alla fine Unsane ci è parso semplicemente un film sbagliato, anche se girato con l’Iphone.

UNSANE (Id.) di Steven Soderbergh. Con Claire Foy, Joshua Leonard, Juno Temple, Jay Pharoah, Amy Irving, Aimee Mullins. USA 2018; Thriller; Colore.