Un sogno chiamato Florida

Quando si parla di film politicamente scorretto, non ci si sta riferendo necessariamente a un pensiero politico fuori del coro (ad esempio i film di Michael Moore) diretto esplicitamente contro l’establishment. In realtà basta molto meno: è sufficiente dire le cose come stanno senza filtri spettacolari, senza aggiustamenti, senza luoghi comuni spacciati per verità. E allora

di Sean Baker, cineasta rigorosamente indipendente, può essere considerato politicamente scorrettissimo. Addirittura equiparabile a certi episodi del nostro neorealismo, racconta una storia (o non storia, se preferite) drammaticissima, al limite della tragedia, tenendosi sempre ad altezza di bambino (come fece Gabriele Salvatores in Io non ho paura) a due passi da Disneyland, in Florida. E lo fa senza fare sconti, con durezza implacabile e al tempo stesso con il contraltare dell’innocenza dell’infanzia e con i giochi, i sorrisi e la spensieratezza di quell’età a confronto con un mondo di adulti che sembra senza speranza.

Argomento a rischio: incombono i luoghi comuni, le smancerie, le soluzioni dall’alto, magari i poliziotti comprensivi e qualche riconciliazione benefica. Ma Baker, come abbiamo detto, non fa sconti e, una volta deciso di seguire una strada complessa, non molla. Magari non dà risposte, anche perché sa benissimo che sarebbero illusorie. Ma sa anche come distribuire responsabilità e porre domande che potrebbero arrivare alle orecchie giuste.

In un complesso residenziale color lilla vivono poveracci di vario genere. In prevalenza donne con figli e senza mariti, qualcuna con un lavoro, altre che si arrangiano come possono e vivono sul filo dell’illegalità. Halley (si chiama proprio come la cometa) è la madre di Moonie e si è quasi abituata a vivere alla giornata. Moonie ha stretto amicizia con il coetaneo Scooty, cui si aggiunge poi la piccola Jancey. I modelli comportamentali sono quelli che sono e i tre bambini passano il tempo sputando sulle macchine in sosta, elemosinando spiccioli per un gelato, incendiando una vecchia casa disabitata, rifiutando qualunque autorità. Tutto senza perdere mai il sorriso. A cercare di arginarli c’è solo Bobby, manager del complesso, che capisce molte cose ma deve anche onorare il proprio ruolo. Finché le cose precipitano e alla porta di Halley bussano la polizia e i servizi sociali. Soltanto allora, quando capisce che sta per perdere la madre e tutto quanto vissuto fino ad allora, Moonie scoppia in un pianto disperato che la riconduce alla dimensione propria della sua età. Poi, per mano a Jancey, scappa a Disneyland.

Per apprezzare al meglio il film è necessario superare un iniziale imbarazzo nei confronti di bambini che verrebbe voglia di chiudere in gabbia. Poi, quando si capisce la loro stretta relazione con il mondo che li circonda e con gli adulti a loro più vicini, il film assume un altro significato riportandoci alla memoria alcuni versi di Fabrizio De Andrè: «Se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo» o ancora «Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior». E il pianto un po’ disperato e un po’ liberatorio di Mooney rappresenta un momento particolarmente toccante e illuminante che getta molta luce anche sugli avvenimenti precedenti.

Baker mostra una pietà contagiosa e una volontà precisa di analizzare un fenomeno che i mass media tendono a generalizzare. Così Un sogno chiamato Florida (un titolo fuorviante, anche se l’originale The Florida Project era difficilmente traducibile) diventa un esperimento veramente interessante e difficilmente ripetibile su apparenza e sostanza, su verità e menzogna, su luci e buio. Willem Dafoe è Bobby, ed è anche l’unico professionista in campo. Tutti gli altri sono presi dalla strada (altro legame con il neorealismo) e lasciano il segno. Soprattutto Brooklynn Prince nei panni di Moonie: scorbutica, sprezzante, ruvida, sfacciata, disperata ma soprattutto innocente.

UN SOGNO CHIAMATO FLORIDA (The Florida Project) di Sean Baker. Con Willem Dafoe, Brooklynn Prince, Bria Vinaite, Valeria Cotto. USA 2018; Drammatico; Colore.