Loving

Appare evidente come la nuova fioritura di film dedicati alle problematiche razziali sia strettamente legata ai fatti d’attualità provenienti dagli Stati Uniti. Così chi vuole può dare la propria risposta artistica a un ritorno di fiamma della violenza e delle discriminazioni, ispirandosi non a caso a fatti storici non recentissimi. Come a dire che la marcia della pace di Martin Luther King («Selma»), il successo professionale delle donne di colore nei piani spaziali della Nasa («Il diritto di contare») o la faticosa ricerca di un’identità di un ragazzo gay («Moonlight») sono in un certo senso traguardi un po’ individuali e un po’ dimenticati e che le cose sono ben lontane dall’essere risolte. Loving di Jeff Nichols conferma la tendenza, anche se l’autore fa il possibile per dare alla vicenda un taglio molto più privato che polemico in modo da sfuggire alle trappole dell’indignazione civile e politica e concentrarsi sulla forza motrice dell’avvenimento: l’amore.

Nel 1959 in Virginia, a conferma del fatto che una legge nazionale poteva anche non essere approvata da un singolo stato, i matrimoni misti erano proibiti. Anzi, un bianco e una nera (o un nero e una bianca, caso più raro) non potevano neanche vivere sotto lo stesso tetto. Ma Richard Loving, muratore con madre levatrice, sapeva soltanto di amare Mildred e di volerla sposare. Il matrimonio fu celebrato a Washington e i Loving, una volta rientrati in Virginia, furono arrestati e condannati a lasciare lo Stato all’istante e a non tornarci, se non separatamente, per un periodo di venticinque anni. Una vessazione dopo l’altra, mentre Richard sapeva soltanto di amare e non comprendeva le ragioni di tanto accanimento, fu Mildred a prendere l’iniziativa. Una lettera a Robert Kennedy, l’intervento dell’associazione per la difesa dei diritti civili e, finalmente, l’esame del caso da parte della Corte Suprema, che sancì definitivamente il matrimonio come diritto naturale.

La storia dei Loving è vera. Da questo punto di vista, si può intuire come le loro vicissitudini siano state molto più dure e dolorose di quanto Nichols le rappresenti. Ciò è dimostrato dal fatto che, trovandosi nella necessità di inserire nella vicenda l’episodio importante di uno dei figli dei Loving investito da una macchina in città, l’autore dà mostra di farlo proprio perché costretto, ma senza dedicargli più tempo dell’indispensabile e finendo per farlo sembrare addirittura posticcio (del genere «tutto qui?»).

A Nichols non interessano né le violenze razziali né le querelle legali né il coinvolgimento emotivo del pubblico. Gli interessa soltanto la rappresentazione di un amore. Da cui, automaticamente, la semplice affermazione che l’amore è qualcosa di naturale da sempre e che non è consentito a chicchessia di interporre barriere di alcun genere.

Quindi Loving non è tanto un film sul razzismo, sulla violenza e sulla legge, quanto piuttosto sulla cultura che rende normale l’opposizione ai cambiamenti e un’altra cultura che non considera l’amore un cambiamento provocando un conflitto inevitabile. Così facendo Nichols (già autore di «Mud») ricerca ostinatamente la rappresentazione di una normalità in un mondo di anormali. Missione difficile, resa ancor più complicata da una narrazione sussurrata anche quando alzare un po’ la voce avrebbe forse aiutato.

Di sicuro i due protagonisti danno un considerevole aiuto. Joel Edgerton, perfetto ragazzo di campagna dall’aria un po’ assente ma ben consapevole delle proprie aspirazioni, e Ruth Negga, molto più preoccupata di tutte le implicazioni ma sorretta da una dignità assolutamente straordinaria. A margine Marton Csokas, sceriffo ben deciso ad applicare una legge che condivide, e Michael Shannon nella fugace caratterizzazione di un giornalista di «Life» le cui foto fecero storia. Una storia che, a quanto pare, non ha ancora visto la fine.

LOVING (Id.) di Jeff Nichols. Con Joel Edgerton, Ruth Negga, Michael Shannon, Marton Csokas, Alano Miller. GB/USA 2016; Drammatico; Colore.