Smetto quando voglio – Masterclass
Tre anni fa «Smetto quando voglio» di Sydney Sibilia si affermò come prodotto anomalo: al di là del successo, dimostrò che la commedia italiana, quella con precisi riferimenti all’attualità sociale, aveva ancora ragion d’essere. La banda dei ricercatori, laureati disoccupati che inventavano una droga legale da una molecola non catalogata tra le sostanze fuorilegge, catturò l’attenzione del pubblico e, tra le righe ma neanche poi tanto, parlò della crisi economica, della mancanza di posti di lavoro per i giovani e naturalmente della fantasia italica che trova sempre una via d’uscita. Oggi Sibilia, che del film è anche sceneggiatore e quindi responsabile principale, rilancia e raddoppia. Seguendo un procedimento già usato dagli americani (nel caso di «Ritorno al futuro Parte II» e «Ritorno al futuro Parte III» e di «Matrix Reloaded» e «Matrix Revolutions») gira quasi in contemporanea il secondo e il terzo episodio. Smetto quando voglio – Masterclass è adesso sugli schermi, «Smetto quando voglio – Ad honorem» uscirà in autunno. Così facendo si assume tutti i rischi del caso: dimostrare che il successo del primo film non è stato un colpo di fortuna, non ripetere pedissequamente la formula, costruire un racconto articolato e (nei suoi paradossi) sensato, dividere in due le idee perché anche la terza parte si confermi all’altezza. Tutto questo non è semplice, soprattutto nel momento in cui Sibilia definisce se stesso uno scemo e i suoi film beceri. A ben guardare, lui non è affatto scemo e i suoi film, contraddistinti da precise caratteristiche regionali, beceri non sono. Così torna la banda dei ricercatori e si risveglia la commedia.
L’ispettore Paola Coletti si trova a dover fronteggiare la distribuzione massiccia delle cosiddette smart drugs e, per porvi rimedio, ha l’idea di servirsi della banda dei ricercatori che ne è stata l’apripista. Fa un accordo con Pietro Zinni, al momento in carcere, promettendo a lui e agli altri libertà e fedina penale pulita se riusciranno a individuare trenta droghe legali e a bloccarne la produzione. Pietro e i suoi sono abbastanza incoscienti da accettare. E anche abbastanza imprevedibili da riuscire nell’impresa. Ma le loro traversie non sono finite.
Intanto prendiamo atto del cambio di passo operato da Sibilia, molto più attento alla costruzione del racconto, più bravo nell’orchestrare eventuali scene d’azione (l’inseguimento tra le rovine dell’antica Roma e il combattimento sul treno) e soprattutto più oculato nel cambiamento di prospettiva: stavolta i ricercatori agiscono dalla parte della legge e preparano il terreno a una terza parte nella quale il nemico sarà molto più pericoloso. Così le quasi due ore di film scorrono senza che venga mai voglia di sbirciare l’orologio e si è addirittura portati a sorvolare su alcune ovvietà, banalità e cliché. Valeria Solarino, ad esempio, ha il compito ingrato di trasformare le legittime richieste di una moglie nelle più insopportabili delle lamentazioni. E Greta Scarano è una poliziotta troppo giovane, troppo disinvolta e persino più incosciente degli scalcinati cui si appoggia per risolvere il caso. Gli scalcinati, però, lavorano da vera squadra e tappano tutti i buchi ognuno con il proprio contributo.
La parte del leone spetta a Edoardo Leo, un Pietro ottimista fino in fondo che trasforma in normali le situazioni più assurde, e a Stefano Fresi, il chimico geniale che ha il solo difetto di testare personalmente le sostanze esaminate. Ma si fa torto agli altri a non rammentarli uno per uno: Valerio Aprea, Libero De Rienzo, Paolo Calabresi, Lorenzo Lavia, Pietro Sermonti, Marco Bonini, Rosario Lisma, Giampaolo Morelli. Nel ruolo del cattivo, che ancora più rilevanza avrà nel prossimo film, la new entry di Luigi Lo Cascio.
Sibilia ha senso del ritmo, fantasia, nessun problema a ispirarsi a film o serie televisive e l’intelligenza di mantenere una coerenza narrativa che rischia di trasformarlo in un caso a parte del cinema italiano degli ultimi anni.