Un mostro dalle mille teste
In «John Q.» di Nick Cassavetes un padre prendeva in ostaggio un intero ospedale per ottenere un trapianto cardiaco per la figlia. Melodrammatico, costruito a tavolino, con le star nei posti giusti: ma è uno dei pochissimi film che affrontano esplicitamente il problema della sanità legata ad assicurazioni costosissime che rappresentano l’unica difesa contro la morte per povertà. Ora Un mostro dalle mille teste, con sostanziali differenze, riprende l’argomento. Senza melodramma, senza star, con un approccio alla vicenda fuori degli schemi e sostanzialmente realistico e soprattutto con la ferma volontà di mostrare come quando si presentano problemi del genere sia facilissimo individuare le vittime, molto meno trovare qualcuno che si assuma le proprie responsabilità.
Un mostro dalle mille teste (il titolo, così schematicamente simbolico, è forse il lato debole del film) viene dal Messico ed è diretto da Rodrigo Plá che, con «La zona», aveva già lanciato un forte messaggio sociale e politico utilizzando le modalità dell’horror e del thriller urbano. Questa volta, abbandonati i riferimenti ai generi cinematografici, va diretto allo scopo.
Sonia Bonet ha un marito ammalato di cancro e la necessità di modificare il percorso curativo previsto dall’assicurazione. La prima tappa è il dottor Villalba, medico curante incaricato del trattamento, che però si fa negare e lascia il centro medico per predisporsi al weekend. Sonia lo segue fino a casa e, preso atto del suo atteggiamento poco collaborativo, estrae una pistola e gli intima di fare qualcosa. Ovviamente Villalba è solo il punto terminale del percorso assicurativo. Occorre arrivare ai responsabili e Sonia non esita. Così finiscono nel suo mirino il dirigente Pietro e il direttore Sandoval. Nel frattempo, naturalmente, la polizia si è attivata e la sta ricercando.
Il fatto che il marito di Sonia muoia per arresto cardiaco mentre lei sta cercando di aiutarlo (il che significa che anche un eventuale esito positivo dell’azione non avrebbe cambiato le cose) non è visto da Plá come rilevante. Conta il principio. E cioè che il dottor Villalba ha un bonus ogni volta che rimanda indietro un assicurato senza modificare il documento. E cioè che il complesso assicurativo prevede a priori che alcune polizze abbiano una copertura affidabile e altre no. E cioè che stipulare un’assicurazione privata può equivalere a puntare su un numero della roulette: una possibilità su 36 di vincere. A Sonia Bonet è toccato il numero perdente. E lei fa l’unica cosa che ritiene giusta: decide di combattere con i mezzi che ha nella consapevolezza che l’avversario è probabilmente troppo forte ma anche nella certezza che non lascerà nulla di intentato.
Per raccontare questa storia, che poteva essere narrata come un melodramma poliziesco, Rodrigo Plá sceglie la via meno diritta: inquadrature sghembe, immagini ruvide, tutt’altro che ripulite, e in sottofondo le voci del giudice e dei testimoni di un processo che non sarà mai mostrato. Vedremo prima dei titoli di coda quattro inquadrature dell’aula di tribunale, ma tutto si fermerà al ritorno del giudice in aula. Plá dà per scontato l’esito giudiziario, che non gli interessa affatto esplicitare. Ciò che gli interessa è mostrare quali possano essere le problematiche che un cittadino qualunque deve affrontare per far valere i propri diritti. Così ciò che sembra prevedibile e scontato dovrebbe invece diventare materia di attento e approfondito dibattito. Perché Un mostro dalle mille teste non può essere scambiato né per un film d’azione né per una sceneggiata né per una sterile polemica: si tratta invece di un documento serio e documentato su alcuni angoli oscuri del vivere contemporaneo. Al risultato contribuisce in misura importante la protagonista Jana Raluy, presentata inizialmente nella sua dimensione privata e con la quale lo spettatore può da subito solidariz-zare: finora più nota come interprete di telenovelas, è capace di una misura e una naturalezza che la rendono una Sonia perfetta.