Inferno
Il dato reale è che in Inferno Dan Brown abbandona le fantasie religiose per abbracciare un thriller più tradizionale, praticamente un film a inseguimento tra Firenze, Venezia e Istanbul che tiene d’occhio 007 per l’idea di un miliardario megalomane che vuole risolvere il problema della sovrappopolazione mondiale diffondendo un virus della peste che eliminerebbe la gran parte della popolazione e Indiana Jones per le località di antica cultura, i sotterranei oscuri, i passaggi segreti e gli indovinelli per arrivare alla verità. L’altro dato reale è che, comunque la si metta, Brown rimane un astuto divulgatore di sciocchezze che hanno incontrato il favore del grande pubblico.
C’è un terzo dato reale: siccome squadra che vince non si cambia, anche Inferno è diretto da Ron Howard e interpretato da Tom Hanks. Howard è un regista di successo, ma non dotato di un’impronta personale che gli permetta di raddrizzare una sceneggiatura storta. Con lui, migliore è la sceneggiatura migliore sarà il film. Hanks, dotato di ironia e capacità mimetiche, continua ad essere il professor Langdon, tra i tanti personaggi da lui interpretati quello che lascerà meno il segno.
Già, il professor Langdon. Si risveglia a Firenze, in un ospedale nel centro storico, e ha una ferita alla testa che gli ha provocato un’amnesia. La dottoressa Sienna Brooks lo aiuta a ricostruire i pezzi mancanti e, quando si presenta un carabiniere che gli spara addosso, scappa insieme a lui condividendone la fuga. Poi è tutto un indovinello: da Boboli al corridoio vasariano, dal Salone dei Cinquecento al Battistero, da Piazza San Marco a Venezia a Santa Sofia a Istanbul. Tutto per scoprire dove il miliardario Zobrist ha nascosto la sacca contenente il virus.
Possiamo dare per scontate molte cose: che dal Corridoio vasariano si acceda direttamente al Salone dei Cinquecento, che a Firenze ci sia Via Dolorosa, che nel centro storico di Firenze ci si possa muovere liberamente con l’automobile a qualunque ora (e questo magari è anche vero, ma senza fare tanto fracasso). Sappiamo che sono tutte spiritose invenzioni che Brown utilizza per far procedere il racconto. Ma questa volta l’oggetto thriller avrebbe avuto bisogno di una regia serrata e nervosa che Howard non ha.
Così, tra riprese frenetiche che non rendono facile seguire l’intreccio, qualche idea decente (le visioni della peste che seguono le punizioni dei dannati ideate da Dante) che si sarebbero giovate di un talento visionario che latita, colpi di scena abbastanza prevedibili che non ottengono l’effetto sorpresa e, nella seconda parte, un paio di flashback esplicativi che danno un fiero colpo al ritmo già pericolante, ci ritroviamo un kolossal mancato che non decolla. Eppure sappiamo bene che il successo sarà sicuro, grazie ai precedenti e a un battage pubblicitario davvero imponente. Considerando il risultato ottenuto da Ridley Scott con «Hannibal» e da Dario Argento con «La sindrome di Stendhal», suggeriremmo di non associare più Firenze al thriller, anche se Brian De Palma in «Complesso di colpa» era riuscito a ottenere un esito più affascinante. Certo, i soldi sul piatto si vedono tutti ed è ovvio che Firenze, molto più di Venezia e Istanbul, abbia sempre qualcosa da dire.
Ma è proprio la storia di «Inferno» a non funzionare. I continui riferimenti a Dante che in realtà non hanno nulla di sostanziale, il presunto indovinello «Cerca Trova» presente nella «Battaglia di Marciano della Chiana» del Vasari nel Salone dei Cinquecento (che è in realtà un monito ai ribelli che combattendo a fianco dei senesi cercarono di far cadere i Medici e trovarono invece sconfitta e patibolo), i vari indizi criptici che lasciano intravedere un sottotesto esoterico in realtà inesistente, trasformano Inferno in un semplice film a inseguimento. Troppo semplice per i capitali che vi sono stati investiti.