Questi giorni
Oltre ad essere uno degli autori più interessanti del cinema italiano, Giuseppe Piccioni è uno che non cerca mai le strade più facili. In «Questi giorni» rischia su più di un piano: il melodramma, la commedia generazionale, il racconto di formazione, la simbologia del viaggio come ricerca o fuga da qualcosa, la maternità, la malattia, il gruppo. Tutte cose che si prestano ad approfondimenti ma anche a paragoni con illustri precedenti, a ovvietà, a scivolate sentimentali, a qualunquismi e a generalizzazioni. Con la sua sensibilità e con il suo cinema molto attento alla caratterizzazione dei personaggi (amati tutti, anche quelli da cui sembrerebbe meglio tenersi alla larga), Piccioni non manca mai il traguardo della sincerità. E se ogni tanto c’è qualcosa di troppo, non è tale da compromettere l’operazione. Così, anche se «Questi giorni» non è il suo film più compiuto, conferma la nostra fiducia in un autore coraggioso e privo di sovrastrutture che lo possano portare ad assomigliare a qualcun altro.
Liliana, Caterina, Anna e Angela vivono in provincia e sono a un punto di svolta nella vita. Liliana sta per laurearsi e deve affrontare la chemioterapia, Caterina sta per partire per Belgrado dove lavorerà come cameriera, Anna è incinta di Filippo ma anche piena di domande cui trovare risposte e Angela legge il futuro nei lumini senza trovare risposte per sé. Così il viaggio a Belgrado è un’occasione per partire tutte insieme per qualche giorno di libertà. Che, naturalmente, sarà tutt’altro che sorridente e spensierata. La vita (vera) è alle porte.
Mentre abitualmente Piccioni lascia il destino dei suoi personaggi all’interpretazione del pubblico, stavolta ha voluto chiudere il cerchio con qualche immagine esplicativa. Liliana prosegue gli studi, si sottopone alla chemio e osserva compiaciuta la nascita di un’amicizia tra la madre e il professore universitario. Anna ha partorito e, senza dare mostra di particolare entusiasmo, accompagna la bambina ai giardini insieme a Filippo. Caterina è rimasta a Belgrado e continua un lavoro che non le piace. E Angela spegne i lumini con un soffio: non sapremo mai quale sia stata la sua ultima visione.
Con tutta la buona volontà, Piccioni non può e non vuole mettere una parola fine alle quattro storie. Le vite delle ragazze sono cantieri aperti che richiedono ancora tanto lavoro, tanta passione, tanta decisione e tanta pazienza. Così, in un certo senso, il viaggio a Belgrado non è un qualcosa che abbia un inizio e una fine. È una tappa del cammino che dovrebbe servire a ciascuna delle protagoniste per conoscere qualcosa di più di sé: il che significa certamente conoscere se stesse, ma anche conoscere gli altri, prendere atto della loro esistenza, di quanto la loro presenza interagisca con le loro vite private, con il loro progetto di vita, con le poche certezze e i tanti dubbi che le accompagnano. Per fare questo, Piccioni ha scelto un approccio che non potesse assolutamente ricondurre a un genere, a qualche precedente, a materiale d’archivio indesiderato. Ha lasciato che le quattro ragazze interagissero con la storia mettendoci del loro, di modo che tutto fosse, più che credibile, vero. Ed è per questo che, quando in scena non ci sono le ragazze ma Margherita Buy, Filippo Timi o Sergio Rubini, il risultato è diverso: sembra più costruito invece che lasciato fluire liberamente da un’esperienza vissuta. Certo, il dislivello è palese.
Ma «Questi giorni» ha più verità che lavoro a tavolino e il risultato può dirsi positivo. Delle quattro ragazze la più efficace è Maria Roveran (Liliana), più variata e mobile rispetto alla durezza di Marta Gastini (Caterina), al disorientamento di Caterina Le Caselle (Anna) e all’incertezza di Laura Adriani (Angela). Margherita Buy (la madre di Liliana) è comunque una certezza. Di Giuseppe Piccioni apprezziamo soprattutto la capacità di aggirarsi tra i sentimenti senza paura di rischiare l’eccesso. A quanto pare la sua misura gli permette di equilibrare le dosi.