Independence Day – Rigenerazione
Quando Roland Emmerich annuncia un nuovo kolossal, viene subito da chiedersi di che magnitudo sarà. Perché, con l’eccezione di sporadici episodi, i suoi film prevedono sempre l’elemento catastrofico, spesso quello fantastico, inevitabilmente quello nazionalistico. Emmerich è uno dei pochi cineasti europei che, dopo essere approdato a Hollywood, si è interamente calato nell’identità americana senza mantenere alcuna delle sue radici culturali originali (in questo caso tedesche). Non c’è da dargli torto: i suoi film, da «Independence Day» a «L’alba del giorno dopo», da «2012» a «Sotto assedio», oltre a ottimi riscontri al botteghino dimostrano di incarnare alla perfezione i grandi ideali americani. Il che significa, più o meno, sopravvivenza, resistenza, vittoria contro tutto e tutti, istituzioni (anche il Presidente in persona) a stretto contatto con la gente e pronte a mettersi in gioco in presenza del pericolo e, in fin dei conti, rappresentazione del resto del mondo come un corpo unico in attesa dell’azione americana. Non staremo a mettere in discussione quanto sopra: ognuno ha le proprie opinioni. È un fatto, però, che il sequel di «Independence Day» a vent’anni esatti dal precedente conferma tutti i nostri dubbi, se non altro, sulla caratura di Emmerich in quanto autore cinematografico abituato a riproporre con astuzia il materiale già proposto (se non inventato) da altri.
Archiviata la pratica dell’invasione aliena, gli Stati Uniti hanno progredito in tecnologia e scienza (che a Hollywood equivalgono ad effetti speciali) ben sapendo che, prima o poi, il problema si sarebbe ripresentato. E, mostrando negli alieni una puntigliosa precisione, ciò accade nuovamente il 4 luglio di vent’anni dopo. Eroi vecchi e nuovi si troveranno a dover fronteggiare un problema ovviamente più serio. Gli alieni stavolta sono guidati personalmente dalla Regina Madre e puntano ad estrarre il nucleo terrestre, fonte di energia vitale. Lo crediate o meno, l’operazione verrà interrotta a pochi secondi dal completamento. E, minacciosamente, gli eroici terrestri progettano di mettere fine ad ogni minaccia lanciando un attacco (magari tra altri dieci anni) nello spazio profondo.
A favore di Emmerich c’è un racconto elementare e ritmato che riesce, nonostante la valanga di già visto, a mantenere una certa tensione fino all’epilogo. L’importante è non soffermarsi a valutare lo spessore dei personaggi, le carenze logiche di un racconto che dà tutto per scontato (anche che i computer continuino a funzionare dopo bordate di onde magnetiche che non fanno neppure fermare gli orologi), il patriottismo infantile che serve soltanto a ribadire come contro gli Stati Uniti non ce ne sia per nessuno. E poi i debiti con «Star Trek», «Aliens», «La guerra dei mondi» e quant’altro: niente di male, ormai la derivazione mascherata da citazione è una prassi abituale. Insomma, «Independence Day – Rigenerazione» dovrebbe rappresentare un manuale del successo sicuro, anche se i risultati dell’esordio americano non sono esattamente trionfalistici, tanto da far pensare che, indipendentemente dal fatto che siano passati vent’anni, il principio del sequel, del reboot, dello spin off e di tutto quanto permette di continuare a utilizzare un nome o un marchio possano cominciare a battere la fiacca. Se questo vale per Spielberg e Lucas, come può pensare Emmerich, che agli occhi americani resta pur sempre un tedesco, di esserne indenne? Degli attori c’è poco da dire: Liam Hemsworth, Jessie Usher, Maika Monroe e Joey King sono gli eroi, Jeff Goldblum e Charlotte Gainsbourg gli scienziati, Bill Pullman l’ex-Presidente in odore di santità, Judd Hirsch e Brent Spiner le macchiette utili alla causa, Sela Ward la Presidente in carica (una donna: prenderne atto) votata al sacrificio e William Fichtner il generale che giura da Presidente e si comporta di conseguenza. A ciascuno la sua nicchia nel parterre dei grandi americani della finzione.