È tempo di arene estive. Ecco qualche consiglio
In questa stagione il problema che si pone è sempre lo stesso: ammesso e non concesso che chi si precipita, avendo programmato da mesi, in località di villeggiatura goda in qualche modo di una condizione privilegiata rispetto a chi, per necessità o per qualsivoglia problematica personale, scelga di rimanere in città, quale potrebbe essere l’alternativa a una routine che non creerebbe alcuna differenza tra il tempo ordinario e quello delle ferie? Poche, in realtà. Un ristorante (all’aperto), una passeggiata serale o notturna (sempre all’aperto, ovviamente), magari un cinema (chiaro: all’aperto).
Ecco, il cinema all’aperto rappresenta ancora una forma di evasione che, unendo allo spettacolo la possibilità di cenare e anche di riunirsi con qualche amico, in un certo senso fa vacanza. Ebbene, i nostri vacanzieri di riporto possono come al solito scegliere tra un ventaglio di proposte che vanno dai recuperi della stagione appena conclusa a qualche anteprima della prossima e persino a qualche ripescaggio di cinema classico che per noi è sempre manna dal cielo.
Quest’anno, al proposito, si segnala una piccola retrospettiva in edizioni restaurate di quel grande cineasta francese impropriamente definito comico e invece meritevole di grande attenzione come osservatore dei tempi, dei mutamenti del costume, di tutto ciò che rischiamo di perdere e di ciò che rischiamo di avere in cambio. Jacques Tati, dinoccolato e tenerissimo monsieur Hulot, è passato dallo sguardo sociale sulla provincia in forma di commedia (Giorno di festa) alla presa d’atto di una semplicità in via d’estinzione (Le vacanze di Ms.Hulot) al contrasto tra l’umanità di una volta e l’incombere del progresso (Mio zio) allo sguardo desolato su un futuro che oggi è presente e sotto certi aspetti anche passato (Playtime). Un maestro da riscoprire con grande attenzione. Ci sono anche alcuni restauri di classici che, essendo grande cinema, non passano mai di moda o d’attualità: Il gabinetto del dottor Caligari (1920) di Robert Wiene, Luci della città (1931) di Charlie Chaplin, Il terzo uomo (1949) di Carol Reed con Joseph Cotten e Orson Welles, Ascensore per il patibolo (1958) di Louis Malle con la musica di Miles Davis.
E siccome capiamo che per qualcuno non sempre vecchio è bello, ci sono anche le cosiddette novità, che non corrispondono sempre a blockbuster. Del cosiddetto cinema di nicchia potremmo segnalare Fuocoammare di Gianfranco Rosi, sull’accoglienza dei migranti a Lampedusa, Le confessioni di Roberto Andò, sul confronto tra un monaco certosino e i potenti della terra, 45 anni di Andrew Haigh, sull’improvvisa crisi tra marito e moglie a due passi dalle nozze d’oro, Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, su un borgataro che si ritrova improvvisamente dotato di superpoteri, Human di Yann Arthus-Bertrand, un’intervista globale sulla vita e sulla morte, Un mercoledì di maggio di Vahid Jalilvand, sulle motivazioni e le conseguenze di un atto di apparente generosità, La Comune di Thomas Vinterberg, su un rigurgito di ideologia hippy e sulle conseguenze di un esperimento di vita in comune, Dio esiste e vive a Bruxelles di Jaco van Dormael, su un Dio dispettoso e troppo umano che deve cedere il passo alle istanze dell’altro sesso, Al di là delle montagne di Jia Zhang-Ke, sulla deriva capitalista della Cina e su quanto ciò possa interferire con l’esistenza dei singoli, Il figlio di Saul di Laszlo Nemes, sull’improvviso sussulto di umanità di un esponente del Sonderkommando di Auschwitz. E poi Sopravvissuto di Ridley Scott, The Nice Guys di Shane Black, La pazza gioia di Paolo Virzì, Revenant di Alejandro Gonzalez Iñarritu, Il ponte delle spie di Steven Spielberg, Il caso Spotlight di Thomas McCarthy, Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese, Ave, Cesare! di Joel e Ethan Coen, Julieta di Pedro Almodovar, La corrispondenza di Giuseppe Tornatore, Irrational Man di Woody Allen, Non essere cattivo di Claudio Caligari.
Se siano belli o brutti, ovviamente, sta a voi scoprirlo di sera in sera.