Tra la terra e il cielo
Di certo Tra la terra e il cielo è un titolo improprio. Forse evocativo e poetico, ma molto distante dal titolo originale del film di Neeraj Ghaywan, «Masaan», che significa crematorio. Un titolo che, oltre a indicare la professione di uno dei protagonisti, simboleggia anche il nucleo tematico del film, ovvero il rapporto tra vita e morte da una parte e il duro confronto tra tradizioni del passato e ansia di progresso dall’altra. Ghaywan ha cercato di esprimere tutto questo raccontando alcune storie concentriche che si trovano alla fine ad incrociarsi e ad attestarsi su una posizione di speranza.
Devi, figlia di un professore che ha lasciato l’insegnamento per gestire un chiosco, si incontra con uno studente in un albergo a ore. I due sono sorpresi dalla polizia, che minaccia di rendere pubblica la loro immoralità. Lei è scossa ma forte. Il ragazzo, invece, si suicida. Ciò consente a un poliziotto di chiedere soldi a Vidyadhar, padre di Devi, in cambio della promessa di chiudere il caso. Devi è comunque irrequieta e desidera andarsene per iscriversi all’università e pagarsi gli studi lavorando. Vidyadhar vorrebbe trattenerla temendo la solitudine. Nel frattempo, per trovare i soldi chiesti dal poliziotto, scommette sul piccolo Jhonta, bravissimo a tuffarsi e a recuperare le monete in fondo al Gange. Parallelamente, Deepak studia da ingegnere ma lavora con il padre e il fratello al crematorio sulle rive del fiume. Conosciuta Shaalu su Facebook, la avvicina senza rivelarle la sua professione e il suo stato sociale. Quando questo verrà alla luce, ogni possibile rapporto avrà fine. E dopo tante traversie, Devi e Deepak si troveranno sulle rive del Gange e prenderanno il traghetto insieme.
Tra la terra e il cielo procede su due binari narrativi. La parte di Devi è scarna, essenziale e molto legata al realismo d’inizio carriera di Mira Nair («Salaam Bombay!»). Quella di Deepak, invece, appare molto meno incisiva: quasi un melodramma sentimentale con un personaggio molto ingenuo, visto quasi con gli occhi di un regista straniero. C’è anche da dire che le tematiche legate a Deepak sono praticamente le stesse dell’altro episodio: la difficoltà di esternare i sentimenti o di costruire un rapporto; le problematiche generazionali; un lavoro per niente amato ma necessario a guadagnarsi da vivere; l’intimo desiderio di realizzare qualcosa di proprio legato alle capacità e alla disposizione. Accade così che si abbia l’impressione di una ripetizione molto meno energica ed efficace.
Poi Ghaywan lascia che le due storie convergano e a quel punto recupera molto terreno con un finale estremamente chiaro e toccante. Ma è evidente che lo squilibrio tra le due parti non giova alla sintesi e all’armonia del tutto. La storia di Devi (molto ben interpretata da Richa Chadda) è più analitica e approfondita e mette in campo elementi psicologici, sociali e anche politici in modo da diventare un documento sull’India e su tutte le problematiche suscitate da una spinta verso il futuro contrastata dall’ancoraggio al passato. Il rapporto con il padre Vidyadhar (altrettanto ben interpretato da Sanjay Mishra) e di questi con il piccolo Jhonta configurano la costruzione di un confronto generazionale che nella storia di Deepak è appena accennato. Senza nulla togliere a Vicky Kaushal, che ha il timore, l’ingenuità e lo sguardo perso nelle stelle ideali per interpretare Deepak.
Tra la terra e il cielo è stato presentato a Cannes con un certo successo: evidentemente il buono del primo racconto è bastato a compensare le mancanze del secondo. Se consideriamo che si tratta del film d’esordio di Ghaywan, possiamo senz’altro attenderlo con una certa fiducia a una seconda prova più consapevole e matura. Il problema, infatti, sembra riconducibile a un maggiore controllo sullo stile e sulla tecnica del racconto, perché per quanto riguarda la parte ambientale e quella più strettamente contenutistica Ghaywan sa già come muoversi e dove andare.