The Lesson
Attenzione a non lasciarvi fuorviare da un manifesto poco appropriato: «The Lesson», dei bulgari Kristina Grozeva e Petar Valchanov, è pubblicizzato con un’immagine della classe sullo sfondo e in primo piano la professoressa in piedi che nasconde una pistola dietro la schiena. Se si voleva far passare il messaggio di una reazione estrema a una situazione difficile, la missione è compiuta. Ma, senza sapere quale sia la situazione difficile e quale la reazione estrema, si rischia di pensare a un film tipo «Classe 1984», «L’ora della violenza» o «The Principal». «The Lesson» è tutt’altro. La vicenda è caratterizzata da due linee narrative convergenti in un contesto a lungo andare quasi surreale dalle specifiche palesemente kafkiane.
Nadia, professoressa di inglese, è informata da un’alunna che in classe c’è un ladro. E lei, di sanissimi princìpi, si adopera con ogni mezzo lecito per individuarlo e punirlo. Contemporaneamente, a casa, vive una situazione molto difficile. A causa di un colpo di testa del marito Mladen, la banca non ha ricevuto i pagamenti delle rate di un debito e si attiva perché la loro casa sia messa all’asta. Nadia si trova così a combattere su due fronti uno dei quali, quello privato, la costringe a qualche compromesso con tutto ciò che odia. Prima si rivolge a uno strozzino per avere i soldi necessari a pagare il debito. Poi deve trovare il modo di restituirli. Lo strozzino prima la induce a modificare il voto del nipote, poi rifiuta i gioielli che lei gli offre, infine le propone di saldare quanto dovuto offrendo prestazioni sessuali. A questo punto Nadia si trova a un bivio e, pensando al male minore, rapina una banca. Soltanto adesso riuscirà a scoprire l’identità del ladro in classe. E la domanda è: potrà punirlo dopo essersi macchiata di crimini peggiori dei suoi?
«The Lesson» non è la cronaca di una discesa all’inferno. Più semplicemente, con toni estremamente realistici anche nel paradosso, racconta di quanto le circostanze esterne possano portare una persona a cambiare anche in questioni di principio.
Grozeva e Valchanov sembrano puntare a due modelli contemporanei: dal punto di vista morale e di tutte le prove cui la protagonista è sottoposta hanno ben presenti le esperienze dei fratelli Dardenne, dei quali manca però l’elemento fondamentale della speranza; dal punto di vista sociale e politico, invece, potrebbero trarre ispirazione dalle parabole amaramente ironiche di Ken Loach. Quel che però rende il loro film estremamente personale e diverso dai modelli, quindi autonomo, è uno stile che sottolinea gli aspetti grotteschi e surreali della vicenda (ispirata a una storia vera) rendendola una sorta di parabola universale sull’individuo che, più o meno come Giobbe, è sottoposto a una sorta di martellamento fisico e psicologico che potrebbe sfociare in reazioni estreme.
Giovandosi di una protagonista, Margita Gosheva, assai espressiva e capace di suscitare una profonda empatia, gli autori difettano soltanto in quel minimo di misura che avrebbe reso «The Lesson» un perfetto «castello» non indebolito da qualche eccesso che finisce per equipararlo più alle leggi di Murphy che alle opere di Kafka. Vero è, comunque, che l’approfondimento del personaggio di Nadia è tale da far passare in secondo piano eventuali difetti e da trasformare «The Lesson» in una lezione morale che richiede senza dubbio il contributo dello spettatore per poter ipotizzare una qualunque conclusione. Che, a nostro modo di vedere, non potrà mai essere positiva. Il percorso di Nadia porta necessariamente all’accettazione di compromessi e di conseguenza all’elezione del compromesso a stile di vita senza che si possa ipotizzare un’eventuale svolta positiva. E lo si capisce nel momento in cui il compromesso, invece di riguardare una sola persona, si estende anche al prossimo: il marito (un personaggio-fantoccio che deve soltanto causare il trauma scatenante), la figlia, lo strozzino, le autorità, gli studenti. Così, fatalmente, tutto quello che può accadere puntualmente accade.