Ave Cesare!
Da una parte c’è uno sguardo sulla Hollywood degli anni Cinquanta, quando gli Stati Uniti sperimentavano la bomba all’idrogeno nell’atollo di Bikini e chiunque vedeva dovunque complotti comunisti. Dall’altra una rappresentazione dello star system che alterna personaggi centrati a figurine da collezione, cioè ragionamenti sensati a cose già viste e sentite molte volte. Il tutto in un contesto di commedia raffinata che non agevola gli autori nello smarcarsi dal déjà vu. Finisce che rimanga un gran film potenziale che alla prova dei fatti diventa un susseguirsi di episodi che è molto difficile rendere omogenei.
Eddie Mannix è il direttore della Capitol Films. Il suo ruolo consiste nel far sì che tutto vada come deve andare, che le star non si caccino in guai di nessun genere, che se ciò accade sia pronta una soluzione di riserva, che la fabbrica dei sogni rimanga tale senza interferenze della realtà.
Capita di tutto a Hollywood. Che Baird Whitlock, impegnato nel ruolo del centurione in un film su Gesù, sia rapito da sceneggiatori comunisti. Che la diva DeeAnna Moran sia incinta di un regista sposato. Che le sorelle Thora e Thessaly Thacker, regine del gossip, minaccino sconvolgenti rivelazioni sulle star e vadano tacitate. Che Burt Gurney, ballerino in film musicali, sia in realtà una spia sovietica. E a Mannix, responsabile della pace in terra, tocca risolvere tutto in qualche caso anche contemporaneamente. Perché, non ci sono dubbi, è quella la cosa giusta da fare.
Ave, Cesare! è attraversato da una sottile vena di follia che ci riporta a uno dei film più celebrati dei Coen, «Barton Fink», del quale non raggiunge però la compattezza surreale e lo schema tragico. In questo caso i Coen preferiscono lo scherzo con occasionali approfondimenti. Scherzo è la vicenda di DeeAnna, reginetta del musical acquatico con problemi di gravidanza. Scherzo è il rapimento di Whitlock da parte di comunisti da operetta che culmina nell’arrivo di un sommergibile russo. Scherzo è, comunque, mantenere il film nell’alveo degli anni Cinquanta senza tentare alcun parallelismo con la Hollywood di oggi.
Gli approfondimenti, invece, sono tutti legati alla figura di Eddie Mannix, omonimo del celebre «fixer» (cioè riparatore, maneggione, faccendiere, risolutore) della MGM già interpretato da Bob Hoskins in «Hollywoodland». Evidentemente non è solo omonimia: il Mannix di Josh Brolin fa lo stesso mestiere con la stessa dedizione. Ed è lui a farci capire l’essenza del cinema e del perché il cinema sia quel luogo dove i sogni diventano realtà. Semplicemente ribaltando l’equazione: il cinema è quel luogo dove la realtà diventa un sogno. Eddie Mannix va a confessarsi con insolita frequenza e il peccato è sempre lo stesso: aver scroccato sigarette dopo aver promesso alla moglie di smettere. Non esita, poi, a picchiare Whitlock per fargli uscire dalla testa le idee comuniste inculcategli dai rapitori. Né a ricattare le sorelle Thacker per impedire la pubblicazione di uno scandalo.
È ovvio che, alla fine, rifiuterà la proposta di lavoro della Lockheed per restare alla Capitol: un mestiere più difficile, ma infinitamente più giusto. Così, mentre i Coen danno a Mannix un risalto positivo concentrando in lui tutta l’essenza del film, gli altri personaggi diventano pittoreschi, idioti, scriteriati, folkloristici, presenti solo perché utili alla causa. E Ave, Cesare!, che poteva essere un capolavoro feroce e caustico, si barcamena tra vette di cinismo e abissi di banalità. Tutto stupendamente fotografato da Roger Deakins e ben interpretato da attori autoironici come George Clooney e Scarlett Johansson. Ma la più brava di tutti è Frances McDormand nel ruolo della montatrice C.C. Calhoun: cinque minuti di autentica classe.