Le ricette della signora Toku
E lo fa proponendo un personaggio, la signora Toku, capace di suscitare simpatia e tenerezza e soprattutto capace di rappresentare tante minoranze che, per colpe non loro, sono condannate all’isolamento e all’oblio. Altro particolare da non trascurare: la definizione del personaggio della signora porta anche a un’attenta ridefinizione del rapporto tra l’uomo e la natura, sia essa rappresentata dagli alberi, dalla luna, dai suoni o dai colori. Insomma, mentre di solito ci aspettiamo dal cinema giapponese una certa dose di durezza e di aggressività, in questo caso avremo soltanto riscoperta dei sentimenti e desiderio di rivalsa che equivale a una ricerca di libertà.
Sentaro gestisce un chiosco nel quale cucina dolci, in particolare i dorayaki (due biscotti farciti con marmellata di fagioli rossi). Frequentato particolarmente da studentesse, il chiosco permette a Sentaro di vivere dignitosamente, anche se il debito che ha con la proprietaria è ancora lontano dall’essere estinto. Un giorno si presenta la signora Toku, che ha saputo che Sentaro cerca un lavorante e vorrebbe offrirsi anche per meno della paga proposta. Sentaro, con tutta la buona volontà, ritiene che la signora sia troppo anziana per quell’attività e non l’assume. Lei, però, non desiste e si ripresenta offrendogli un assaggio della sua marmellata. L’uomo ringrazia e, appena la signora se n’è andata, getta il contenitore nell’immondizia. Poi, preso da un senso di rimorso, lo recupera e assaggia il contenuto. Una meraviglia. Così la signora Toku diventa la sua assistente e gli insegna il modo giusto per preparare la marmellata. La signora è entusiasta, commossa, volenterosa ed esperta. Improvvisamente gli affari fioriscono e i clienti si moltiplicano. Ma la signora porta sulle mani i segni inconfondibili della lebbra e la proprietaria, che l’ha saputo, impone a Sentaro di cacciarla. A Sentaro resta la scelta tra la giustizia e il pregiudizio.
Quel che Naomi Kawase, senza preoccuparsi di suscitare qualche lacrima, tenta di trasmettere è quanto un passato di tradizioni rigide possa interferire con un presente di speranza. Tanto più in un paese come il Giappone, dove spesso il peso della tradizione ha rappresentato un ostacolo al rinnovamento. In questo senso la signora Toku (interpretata benissimo da Kirin Kiki) è una perfetta rappresentazione di un serbatoio di amore, passione e volontà che qualcuno vorrebbe ostinatamente continuare a tenere chiuso. E Sentaro, che a lungo andare capisce e assimila, ne trarrà il coraggio per la scelta più coraggiosa: nel momento in cui la proprietaria decide per la ristrutturazione del chiosco e per l’affiancamento di un giovane parente che poi diverrà padrone, lui sceglie di andarsene e di proseguire la sua attività all’aperto, in un parco, con un cucinotto portatile. Se ricordate «L’ospite inatteso» di Thomas McCarthy, l’immagine finale di Richard Jenkins che suona i tamburi nella metropolitana insieme agli africani è un precedente con molti punti di contatto.
A dire la verità, «Le ricette della signora Toku» lascia proprio un buon sapore in bocca: abbastanza da farci ignorare i suoi difetti dovuti alla semplificazione (deriva della semplicità) e al sentimentalismo (deriva dell’umana solidarietà). A noi è parso che la posta in gioco valesse il rischio.
LE RICETTE DELLA SIGNORA TOKU (An) di Naomi Kawase. Con Kirin Kiki, Masatoshi Nagase, Kyara Uchida, Miyoko Asada. GIAPPONE 2015; Drammatico; Colore