Nessuno si salva da solo
Se tutta la storia di Delia e Gaetano non sia in fondo uno spot a favore di quelli che ce la fanno (Sergio e Margaret, tanto per dire). Se una storia ben nota e molte volte narrata non abbia bisogno di qualche novità espressiva o tecnica per essere raccontata di nuovo. Se il frequente uso di canzoni nella colonna sonora (Tom Waits, Lucio Dalla, Leonard Cohen, Amedeo Minghi) invece di accompagnare le tappe della storia non trasformi il film in una compilation della fine di un amore. E se l’ennesimo duello di Castellitto con i luoghi comuni non finisca per una volta a favore dei secondi.
Tutto questo non deve far pensare che il film sia un fallimento, ma semplicemente che finisce per accomodarsi in una maniera narrativa e psicologica che non gli permettono di fare il salto di qualità confinandolo nel limbo del già visto.
Gaetano e Delia si conoscono, si amano appassionatamente, si sposano, hanno due figli, incontrano gli ostacoli ordinari della vita coniugale e piano piano cominciano a vacillare. Certo, si sono amati. Ma qualcosa è cambiato in entrambi e certe differenze di carattere e comportamento diventano macigni insormontabili. Tutto questo emergerà anche con violenza in un incontro al ristorante per decidere l’organizzazione delle vacanze dei figli. Forse neanche l’intervento di Vito e Lea, una coppia di anziani che dura nonostante tutto, potrà salvare il loro rapporto.
L’idea di Castellitto (e di Mazzantini: in questo caso il connubio è inscindibile) è quella di raccontare un amore apparentemente incrollabile ma che in realtà poggia su basi non solidissime. Questo porta a una rappresentazione fisica anche abbastanza dettagliata che dovrebbe corrispondere al prevalere della passione sull’interiorità. Il rischio concreto è quello di trascendere dal necessario per approdare al superfluo e in qualche caso anche a un velato sospetto di compiacimento tenuto a distanza esclusivamente dal fatto di non appartenere al Castellitto che abbiamo conosciuto fino ad oggi.
La prova dei vestiti per la cena che apre il film, ad esempio, mostra Delia che ne mette uno dietro l’altro senza decidersi. Improvvisamente, la donna è inquadrata nuda di schiena per poi approdare all’abito nero che indosserà. A parte il fatto di ricordare, ma solo di sfuggita, il nudo frontale di Nicole Kidman all’inizio di «Eyes Wide Shut», l’inquadratura ci induce a porci un quesito: è una simbologia per indicare che Delia non sa cosa mettersi, o che non vorrebbe andare, o che l’incontro la porterà a mettersi a nudo, o è semplicemente l’inquadratura di un nudo di schiena?
Poi comincia la cena e con essa la guerra, psicologica a un passo dallo scontro fisico. In questa cornice sono inseriti in successione i flashback dell’incontro, della passione, del matrimonio e di tutte le tappe che hanno portato alla separazione. Qui però ci si chiede perché realmente Delia e Gaetano si lascino. Il loro cambiamento è più volte detto a parole, ma non adeguatamente raccontato con le immagini. Riccardo Scamarcio e Jasmine Trinca sono adeguatamente calati nei loro personaggi, ma da soli non bastano a sostenere il peso del film.
Un’idea più chiara dei problemi di «Nessuno si salva da solo» ce la possiamo fare quando entrano in scena Vito e Lea (Roberto Vecchioni e Angela Molina). Altra generazione, che ha vissuto la giovinezza con più libertà e spensieratezza, ma che ha certamente contribuito a non cambiare il mondo lasciando alle generazioni successive basi troppo fragili per vivere di certezze. A Vito è assegnato il ruolo di grillo parlante che dice tutto, anche troppo: quanto si sono amati, quanto si amano, quanto hanno ballato, quanto vorrebbero che tutti si amassero come loro. E poi, prendendo le mani dei due, raccomanda «Pregate per me». Ma non basta: un attimo prima di salire in macchina aggiunge: «Ricordate: nessuno si salva da solo». Sarà bello, ma a noi sono parse parole senza musica.