Turner
Di Joseph Mallord William Turner, nato a Londra nel 1775 e morto a Chelsea nel 1851, sappiamo molto. Che è stato maestro di pittura a olio e autore di famosissimi paesaggi all’acquerello, che in un certo senso con il suo stile ha preparato la strada per l’impressionismo, che poteva dirsi appartenente al romanticismo, che la sua vita è stata quella di un uomo assolutamente ordinario baciato da uno straordinario talento, che ha molto viaggiato, che è rimasto universalmente noto come «il pittore della luce».
Tra tutte queste specifiche, quella che deve aver maggiormente colpito Mike Leigh inducendolo a realizzare un film su di lui è proprio quella dell’ordinarietà, di come cioè una vita non segnata da eccezionalità di alcun genere sia potuta confluire in un’arte così universalmente riconosciuta. Non è un caso se il titolo originale di «Turner» è in realtà «Mr. Turner»: l’aggiunta del Mr. implica un’immersione nella quotidianità laddove il solo cognome avrebbe potuto indirizzare verso la dimensione artistica trasformandola in qualcosa di mitico e leggendario.
Obiettivamente, da Mike Leigh non c’era da aspettarsi niente di diverso. La sua caratteristica principale è stata sempre quella di eleggere a protagonisti delle sue storie individui comuni alle prese con eventi tali da modificare o dare un senso alle loro esistenze. In «Turner» ha cercato di andare oltre: un individuo comune che, dietro un’apparenza grossolana e grezza, nasconde una sensibilità, un occhio e un modo di trasferire tutto questo su tela che lo rendono (potremmo dire al di là delle proprie intenzioni) unico e irripetibile.
Dopo la morte del padre, cui era legatissimo, Turner soffrì di depressione riuscendo sempre a compensare con il proprio talento. Mai sposato, padre di due figlie e, infine, amante di una vedova di Chelsea, l’artista aveva una capacità particolare nel catturare la luce e restituirla sulla tela. Consapevole della propria arte, mai intimamente sereno, costantemente alla ricerca di un equilibrio (introvabile) tra vita e pittura, a causa della propria eccentricità era evidentemente esposto, essendo comunque un artista affermato e riconosciuto, ai lazzi popolari e alle provocazioni della critica, senza contare il problematico rapporto con i cosiddetti mecenati. Turner sapeva soltanto che, quando arrivava il richiamo dell’ispirazione, lui doveva essere pronto ad ascoltarlo magari con un semplice blocco di carta su cui tracciare i propri schizzi che dopo si sarebbero trasformati in quadri.
È proprio in questa dicotomia tra istinto e talento che Leigh si concentra non per tessere le lodi di un grande pittore, ma per rimpiangere una grandezza che, se gestita da un qualsiasi metodo invece che affidata unicamente all’istinto, avrebbe potuto raggiungere vette impensabili.
Il Turner di Leigh è in un certo senso un antesignano di certi registi cinematografici che, naturalmente portati per la composizione delle immagini, si compiacciono del proprio estro visionario senza applicarlo a qualcosa di realmente concreto. Turner vive in un modo che allontana radicalmente ogni forma di moderazione: ogni tanto si sofferma a contemplare qualcosa e poi lo mette su tela.
Non c’è insomma in Turner l’alone mitico o semplicemente maledetto che circondava Van Gogh in «Brama di vivere» o Michelangelo ne «Il tormento e l’estasi». Lì l’artista era esposto in una nicchia illuminata a giorno dove tutto trovava spazio in nome della realizzazione di un capolavoro. Qui, invece, Mike Leigh ricerca puntigliosamente un realismo abbastanza triste e talvolta monocolore che diventa vita soltanto sulla tela e che la straordinaria fotografia di Dick Pope esalta nel bello e nel brutto. Ed è straordinaria anche l’interpretazione di Timothy Spall, che tra un grugnito e l’altro riesce a farci chiedere: «Ma questo era veramente un grande artista?».
TURNER (Mr. Turner) di Mike Leigh. Con Timothy Spall, Dorothy Atkinson, Marion Bailey, Paul Jesson, Lesley Manville, Martin Savage. GB/F/D 2014; Dramma biografico; Colore