Due giorni, una notte
Non foss’altro perché è il primo dei loro film ad uscire da Cannes senza alcun premio, perché è interpretato da una star come Marion Cotillard, perché non affronta direttamente tematiche familiari ma si interessa della crisi del lavoro che caratterizza l’epoca che viviamo. E ancora, perché si assume interamente il rischio di un andamento necessariamente ripetitivo, non solo nelle situazioni ma anche nei dialoghi, perché sfodera una forza simbolica che lo innalza al di sopra dell’inchiesta giornalistica o documentaria, perché riesce ad andare al cuore del problema facendoci capire che in fin dei conti non stiamo parlando solo di lavoro, ma di egoismo, solidarietà, dignità umana, diritti e doveri, responsabilità. Tutto ciò che, in alcuni casi, segna il confine tra la voglia di ricominciare e la stanchezza di vivere e di lottare che potrebbe portare a gesti estremi. Teniamoceli stretti questi due fratelli belgi: con i loro thriller dell’anima riescono sempre a farci pensare, a suscitare dibattiti, a convincerci che in ogni caso non va bene arrendersi, che anche la situazione più oscura e problematica non è senza uscita. I Dardenne sono due indagatori del presente che, legittimamente, si preoccupano di cosa potrebbe essere il futuro. Come dire che il nostro domani è legato a filo doppio alle scelte di oggi.
Sandra vive una situazione che definire difficile è poco. Uscita da una grave forma di depressione, si ritrova con la prospettiva di perdere il posto di lavoro se i colleghi dell’azienda produttrice di pannelli solari sceglieranno di ricevere un bonus di 1000 euro che comporta il suo licenziamento. Appoggiata incondizionatamente dal marito Manu, Sandra ottiene dal datore di lavoro una nuova votazione. Prima di ciò, dovrà incontrare uno ad uno i sedici votanti per cercare di convincerli che quel lavoro le serve per sopravvivere. Il tempo concesso è quello del fine settimana: due giorni, una notte.
Cominciamo da Marion Cotillard. Alle prese con un personaggio qualunque, lascia che i Dardenne la spoglino di ogni trucco trasformandola in una donna della porta accanto. Di più: accetta un personaggio estremamente difficile, in quanto non è affatto scontato che le sue indecisioni, la sua disperazione, la sua fragilità porteranno il pubblico a identificarsi con lei per empatia. D’altronde, i Dardenne non volevano assolutamente mettere in campo ricatti sentimentali e, come è loro abitudine, hanno lavorato sulla verità. E Marion Cotillard esegue il compito con un lavoro in sottrazione veramente degno di lode. Il percorso di Sandra passa attraverso cattiverie, egoismi, violenze e manifestazioni di obiettive necessità che portano a una conclusione vivificante che non diremo, ma che esclude ogni accomodamento a beneficio del pubblico.
Ci preme infine sottolineare il nucleo simbolico del film. Dei sedici compagni di lavoro, Sandra riuscirà a vederne quattordici prima della votazione. Quattordici come le stazioni della Via Crucis. Il datore di lavoro è un Pilato che preferisce delegare ai lavoratori la scelta. Il caporeparto Jean Marc è il Sinedrio che fomenta la paura e cerca di pilotare la votazione. Il percorso di Sandra scatenerà molta solidarietà, ma anche divisioni familiari: padre contro figlio, moglie contro marito.