2013: salvati per voi

È quasi naturale cercare sempre la legna giusta per alimentare il fuoco della propria passione. Al di là di bilanci e riassunti, quindi, la nostra volontà di evidenziare quelle opere che, nell’anno appena concluso, hanno mostrato qualità e tratti che le rendano meritevoli di memoria equivale a una ricerca di continuità che renda comunque il cinema giustificato nel suo esserci ancora per motivi che vanno ben oltre il successo di pubblico.

Se dovessimo considerare questa una ragione necessaria, ad esempio, Las acacias di Pablo Giorgelli non sarebbe preso in considerazione. E invece, con la sua semplicità, incanta e apre una piccola finestra sulla speranza. Non troverebbe posto neanche Salvo di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, che mette a frutto una bella idea di partenza che prevede il percorso parallelo di una ragazza cieca che riacquista la vista e di un killer che ritrova il proprio senso morale. Probabilmente rimarrebbe fuori anche No – I giorni dell’arcobaleno di Pablo Larrain, che racconta la fine del regime di Pinochet attraverso l’uso intelligente e creativo del linguaggio degli spot pubblicitari. E chissà se Miss Violence di Alexandros Avranas potrebbe essere preso in considerazione, con la sua durissima rappresentazione di un disagio nazionale attraverso le vicende di una famiglia greca che nasconde terribili segreti dietro la facciata di una calma apparente.

Poi, certo, ci sono anche i film di successo. L’immagine grottesca e pirandelliana della politica italiana data da Roberto Andò in Viva la libertà, con il contributo essenziale di un doppio Toni Servillo. La spietata rappresentazione di una donna che non esita a calpestare le esistenze altrui pur di non perdere il livello di vita cui è abituata ha riportato Woody Allen, con Blue Jasmine, ai livelli che gli competono. Giacomo Campiotti, in Bianca come il latte, rossa come il sangue, ha saputo camminare sul filo del melodramma senza cadere nella facile retorica o nella lacrima a comando parlando di adolescenti, di crescita, di scuola e di vita. Pierfrancesco Diliberto, detto Pif, con La mafia uccide solo d’estate ha stupito quanti lo credevano soltanto uno delle Iene e ha saputo parlare di mafia con tonalità originali che lo tengono a buona distanza dai luoghi comuni e dal facile umorismo. Il passato di Asghar Farhadi conferma l’ottima vena di un autore che parla di vita come fosse un thriller e riesce a far capire quanto sia difficile accordare i suoni quando tutti i personaggi hanno le loro buone ragioni. Uberto Pasolini, con Still Life, colpisce al cuore raccontando una vicenda di solitudine, di vita e di morte, di dedizione al lavoro e, in seconda battuta, di carità.

La Educazione siberiana di Gabriele Salvatores conferma la buona vena di un autore discontinuo che, quando trova una storia per lui insolita ma stimolante, riesce a calarsi in una realtà lontanissima facendoci capire come nascere in un luogo invece che in un altro possa fare una gran differenza. Infine la sorpresa dell’anno: Sugar Man di Malik Bendjelloul, premio Oscar per il miglior film documentario, che documentario a tutti gli effetti non è. È piuttosto la ricostruzione di un personaggio, Sixto Rodriguez, sconosciuto in America e quasi idolatrato in Sudafrica per le sue canzoni che qualcuno considera allo stesso livello di Bob Dylan. Il tutto a sua insaputa. Un film emozionante sulla necessità assoluta di rimanere aggrappati ai propri sogni per non morire.

Rimangono fuori L’intrepido di Gianni Amelio, Un giorno devi andare di Giorgio Diritti, Philomena di Stephen Frears, Miele di Valeria Golino, Quartet di Dustin Hoffman, La vita di Adele di Abdellatif Kechiche, To the wonder di Terrence Malick, Venere in pelliccia di Roman Polanski, Sacro GRA di Gianfranco Rosi, Lincoln di Steven Spielberg, La grande bellezza di Paolo Sorrentino, La migliore offerta di Giuseppe Tornatore, Django Unchained di Quentin Tarantino. Ognuno con le proprie ragioni, che a quanto pare non ci sono sembrate sufficienti. E rimane fuori anche il campione d’incasso Sole a catinelle di Gennaro Nunziante, che però ci ha messo di buonumore. A tutti, naturalmente, buon anno nuovo.