Rush

I primi passi di James Hunt e Niki Lauda nell’automobilismo ebbero come banco di prova la Formula 3, che in un certo senso prefigurò quella che sarebbe stata la loro ben nota rivalità sui circuiti internazionali della Formula 1.

Già allora le differenze saltavano agli occhi: Lauda freddo, calcolatore, serio fino all’antipatia, molto competente e capace sia di guidare che di modificare una macchina per le proprie esigenze, Hunt istintivo, sregolato, uomo di mondo, amante dell’alcool e del fumo ma soprattutto delle donne (a quanto pare, il maggior numero possibile di donne) eppure capace di applicare tutti i propri difetti a una guida spericolata e a suo modo geniale. I due non si piacevano, ma si rispettavano. Per Hunt diventò addirittura un’ossessione battere quell’austriaco scostante che continuava a vincere ed era già campione del mondo.

E così arriviamo al circuito tedesco del Nürburgring nell’agosto del 1976 quando, sotto una pioggia battente che aveva trasformato una pista già pericolosa in una trappola mortale, nonostante il parere contrario di Lauda Hunt si impuntò per gareggiare. Il risultato fu un incidente in cui Lauda perse il casco, rimase intrappolato nell’auto in fiamme, inalò i vapori della benzina e rischiò la vita. Appena 42 giorni dopo l’incidente, mentre Hunt recuperava punti in classifica, Lauda tornò in gara contro il parere dei medici. Ma quell’anno fu Hunt a vincere il mondiale: nell’ultimo gran premio, quello del Giappone, nuovamente sotto una pioggia battente, Lauda si ritirò ritenendo insufficienti i margini di sicurezza e lasciando al rivale il titolo.

Ron Howard non è un autore nel vero senso della parola. Non è, cioè, uno che nei film ci mette del suo imprimendo un’impronta personale. Pare di poter dire che il film sarà buono se è buona la sceneggiatura, altrimenti il risultato sarà assolutamente ordinario. L’idea di realizzare un film sulla rivalità tra Hunt e Lauda poteva essere buona a patto di dare alla vicenda un forte valore simbolico che mettesse in campo le gare come sottile linea di demarcazione tra povertà e ricchezza, fallimento e realizzazione, vita e morte.

«Rush» sembra attestarsi su una posizione mediana: Howard e lo sceneggiatore Peter Morgan lavorano in ugual misura sulla pista e nel privato ottenendo un risultato alterno. Indubbiamente la ricostruzione delle gare è spettacolare e realizzata con competenza. Per quanto riguarda i «dietro le quinte», però, si insinua troppo spesso il sospetto del gossip da rotocalco che, soprattutto per quanto riguarda l’attività amatoria di Hunt, tende a eccedere in quantità mentre non evolve affatto l’analisi del personaggio. Contemporaneamente anche l’imperturbabile Lauda, una volta definite le sue caratteristiche principali, non può che ribadire di continuo cose che già sappiamo e abbiamo già capito. Per cui il nocciolo del film diventa la trasformazione del confronto tra i due piloti in una sorta di duello epico (potremmo dire quasi omerico), come se la loro rivalità fosse la storia di tutte le rivalità di questo mondo. E, per quanto «Rush» si lasci seguire con un certo interesse e sia tecnicamente inattaccabile, rimane un po’ di rimpianto per quanta maggiore profondità gli autori avrebbero potuto dare a una storia che, in sé e per sé, rimane con la esse minuscola.

Chris Hemsworth (ovverosia Thor) è un James Hunt piacione e prevedibile che, nei sei anni della sua vita che il film prende in esame, non cambia una volta né pettinatura, né lunghezza dei capelli. Daniel Brühl, già visto in «Goodbye Lenin!» e «Bastardi senza gloria», è un po’ limitato dal make-up che dovrebbe renderlo (anzi, lo rende) molto somigliante a Niki Lauda. Se gli autori di biopic puntassero più sulla bravura di un attore che sulla sua somiglianza con l’originale, avremmo sicuramente dei risultati migliori.

RUSH (Id.) di Ron Howard. Con Chris Hemsworth, Daniel Brühl, Olivia Wilde, Alexandra Maria Lara, Pierfrancesco Favino. USA/D/GB 2013; Drammatico; Colore