Vogliamo vivere!

Lubitsch, che della commedia è stato un maestro e sotto molti aspetti ha precorso i tempi e certe evoluzioni del costume diventando il mentore indiscusso di Billy Wilder e fonte d’ispirazione per generazioni di cineasti, in questo caso ha osato sfidare la storia e permettersi di seppellire con una risata il nazismo imperante in Europa senza temere la critica prevedibile che su certe cose non si dovrebbe scherzare. Lo ha fatto lui, lo ha fatto Chaplin ne «Il grande dittatore», lo ha fatto Gerard Oury in «Tre uomini in fuga», lo ha fatto Roberto Benigni in «La vita è bella». Film diversi, risultati diversi, diverse ambizioni: ma in nessun caso l’impressione che il nazismo fosse trasformato in soggetto da pochade ignorandone la reale portata. E mai la sensazione di uscire dal cinema senza aver percepito il dramma che si nasconde dietro il sorriso.

Detto questo, bisogna riconoscere che «Vogliamo vivere!» è un capolavoro anche perché sfrutta alla perfezione il meccanismo degli equivoci, misurando con precisione millimetrica l’entrata e l’uscita di scena dei personaggi, sfruttando al meglio una compagnia di caratteristi impareggiabili, costruendo una sceneggiatura a orologeria nella quale i dialoghi serratissimi e le situazioni paradossali si sposano con tale equilibrio da far sì che, ove ci fossero errori, il pubblico non potrebbe neppure accorgersene. Alla fine si ha l’impressione che, al di là del tributo pagato da un regista tedesco accolto in America, a trionfare sia proprio la pura e semplice commedia, perfezionata al punto che ancora oggi è in grado di incantare.

La compagnia teatrale di Josef e Maria Tura è impegnata a Varsavia nelle repliche di «Amleto» e nelle prove di «Gestapo». Questa commedia, però, è cancellata per evitare problemi col nazismo. Quando però i nazisti invadono la Polonia, gli attori tutti, dal capocomico all’ultimo caratterista, si impegnano con ogni risorsa (ovverosia col mestiere dell’attore) per contribuire alla causa comune. E così diverranno loro malgrado eroi.

All’interno di questo contenitore serio, Lubitsch scatena il genio del commediante. Dall’ufficiale polacco che corteggia Maria ed esce dal teatro ogni volta che Joseph attacca il monologo di Amleto (da cui il titolo originale, «To Be or not to Be»), al crudele e ridicolo colonnello Erhardt che a Londra chiamano «colonnello concentrone», al doppiogiochista professor Siletsky la cui morte costringe Josef a impersonarlo rischiando la vita, tutto concorre a fare di «Vogliamo vivere!» un esempio insuperato di commedia dell’assurdo con gli occhi spalancati sulla realtà.

Tanto per avere un’idea dell’influenza che questo film può aver avuto nel tempo, basta ricordare che nel 1964 Eduardo De Filippo scrisse una commedia intitolata «L’arte della commedia» nella quale una compagnia di guitti metteva in crisi un’amministrazione comunale con una lunga serie di travestimenti che non permetteva più di capire chi fosse il vero e chi il falso, e che Quentin Tarantino, nella scena del cinema nel quale si proietta il film alla presenza del Fuhrer in «Bastardi senza gloria», ha senza dubbio citato Lubitsch nell’analoga scena del teatro con il finto attentato. È molto particolare anche il caso degli attori. Maria Tura è Carole Lombard, regina della commedia («Ventesimo secolo», «L’impareggiabile Godfrey», «Nulla sul serio») che conferma fascino e bravura nell’anno in cui un incidente aereo mise fine alla sua breve vita. Josef Tura è Jack Benny, che con il cinema ha avuto un rapporto occasionale e non importante, ma non al punto da non ritrovarlo in questo gioiello. «Vogliamo vivere!» ha settantuno anni e proprio non li dimostra.VOGLIAMO VIVERE! (To Be or not to Be) di Ernst Lubitsch. Con Carole Lombard, Jack Benny, Robert Stack, Felix Bressart, Lionel Atwill, Sig Ruman. USA 1942; Commedia; Bianco e nero