Le streghe di Salem

Da quando ha iniziato la sua attività cinematografica, Zombie si è distinto per una particolare caratteristica: i suoi film sono sempre estremizzati senza che questo comporti una dose sovrabbondante di sangue e di splatter. Sono estremizzati nella rappresentazione del male senza redenzione. Diventa logico, pertanto, chiedersi se Zombie sia un autore di horror o di altro. La domanda si ripropone assillante nel suo ultimo film, «Le streghe di Salem», che qualcuno considera un capolavoro, qualcuno detesta, qualcuno ignora. Da parte nostra non vorremmo cadere nella trappola che ci porterebbe ad affermare «non è normale», perché il problema si pone in altri termini. «La casa dei 1000 corpi», «La casa del diavolo» e «Le streghe di Salem» non sono film di genere horror nel senso più classico che si dà alla parola. Sono piuttosto la testimonianza di un preciso punto di vista, ovvero il mondo secondo Rob Zombie: un luogo desolato nel quale il male attecchisce senza che si manifesti alcuna possibilità di redenzione. E, peggio ancora, il male attecchisce senza che chi racconta dia alcuna impressione di fare qualcosa per arginarne il dilagare.

A Salem, nel Massachusetts, dove nel 1692 prese il via la caccia alle streghe, vive Heidi Hawthorne, una dj alternativa che lavora in una radio locale. Ricevuto da mittente sconosciuto un disco contenente una musica dissonante e vagamente tribale, lo ascolta e poi lo inserisce in trasmissione dando il là a una serie di avvenimenti sempre più allucinanti. In sostanza, le tre streghe sue vicine di casa non vedono l’ora di vendicarsi dei discendenti degli antichi persecutori e soprattutto attendono con impazienza la donna che riceverà il seme di Satana. Se a questo punto avete capito chi potrebbe essere la fortunata prescelta, il resto verrà da sé.

La narrazione di Zombie non assomiglia affatto a un horror classico, che di solito prevede interferenze tra incubo e realtà, esplosioni di violenza, personaggi estremi e, da qualche parte, una via d’uscita. «Le streghe di Salem» dà piuttosto l’impressione di un viaggio iniziatico al termine del quale troveremo soltanto l’oscurità più assoluta. Questo esclude a priori luoghi comuni del genere e personaggi di circostanza. Si ha piuttosto l’impressione di una sorta di sacrificio propiziatorio a qualche entità malevola che viene comunque riconosciuta come dominante. Se sono evidenti, nel corso del racconto, i riferimenti a «Rosemary’s Baby» di Roman Polanski, manca completamente una precisa struttura narrativa che lascia il posto a un delirio di suoni e immagini che alla fine è molto più vicina agli incubi surreali di David Lynch (non esclusa la rappresentazione di Satana come un nano deforme). A dominare «Le streghe di Salem» è l’incessante, ossessionante presenza fisica della moglie dell’autore, Sheri Moon Zombie (all’anagrafe Sheri Lyn Skurkis), usata per il linguaggio del corpo più che per discutibili qualità espressive. È lei la vittima designata, destinata all’incontro carnale con il maligno: ma più che di vittima designata, in questo caso dovremmo parlare di creatura prescelta, tanto vero che dopo il fatale evento la vediamo rappresentata secondo un’iconografia blasfema che evoca l’immagine della Madonna. Lungi da noi scatenare una nuova caccia alle streghe: ma ci sembra che Rob Zombie sia troppo interessato a giocherellare con cose pericolose in nome di un’anarchia che né la rilettura di un genere né le esasperazioni visive e sonore né discutibili questioni di stile bastano a giustificare. Come dire: non aprite questa porta.LE STREGHE DI SALEM (The Lords of Salem) di Rob Zombie. Con Sheri Moon Zombie, Bruce Davison, Judy Geeson, Dee Wallace, Meg Foster, Ken Foree. USA 2012; Horror; Colore