La miglior offerta

Le scelte di Tornatore, in realtà, sono testimonianza di una personale irrequietezza che lo porta a misurarsi con qualcosa di diverso che gli frutti il consenso, appunto, per qualcosa di diverso. «La migliore offerta» ne costituisce una prova lampante. Da questo film, dopo il doloroso insuccesso di «Baarìa», si capisce bene come l’autore sia alla ricerca di materiale narrativo di respiro internazionale, il che lo porta a utilizzare impropriamente il termine di thriller che, alla fine, rappresenta proprio il gradino d’inciampo. Si capisce, non per la prima volta (vedi «La sconosciuta»), che Tornatore soffre di una particolare forma di complesso di superiorità: pensa cioè che il proprio stile sia talmente forte da poter bastare a se stesso abbattendo di slancio ogni barriera legata al racconto, agli svincoli narrativi, alle finalità della vicenda. «La migliore offerta» dimostra che le cose stanno diversamente.

Virgil Oldman, un uomo sulla sessantina, è uno stimato esperto d’arte e battitore d’aste. Ha vissuto sempre da solo, legato unicamente al proprio lavoro nel quale cerca le consolazioni che non riesce a trovare negli esseri umani. Non a caso, la sua stanza segreta è tappezzata di ritratti femminili di varie epoche nei quali ricerca probabilmente la donna ideale che non ha mai avuto. Contattato da Claire Ibbetson, accetta di inventariare l’intero contenuto della sua villa in previsione di una imminente vendita. Il rapporto non sarà facile: Claire è agorafobica e non esce mai dalla sua stanza, Virgil non brilla per pazienza e più di una volta è sul punto di lasciar perdere. Poi, però, su di lui comincia a fare effetto il fascino della curiosità e, in qualche modo, la possibilità che quella donna idealizzata e mai trovata possa essere proprio Claire. Lo accompagna nel cammino Robert, un giovane tecnico che lo aiuta a ricostruire un antico automa con i pezzi via via ritrovati nella villa.

Le tracce di stile di Tornatore sono chiare e anche affascinanti: l’inventario della villa come scoperta successiva di qualcosa di nascosto da portare alla luce, la ricostruzione dell’automa come simbolo della paziente composizione di una sceneggiatura complessa, l’interazione con una musica di Ennio Morricone che mai sopravanza le immagini ma le contrappunta con discrezione, il progressivo sgretolarsi della corazza di Oldman (nomen-omen: uomo vecchio) di fronte all’eventualità di un rapporto finalmente umano e non professionale, la convergenza di due personalità complicate e diversamente lacunose, il continuo aleggiare di una impalpabile minaccia che dovrebbe condurre la vicenda a un epilogo tutt’altro che positivo. «La migliore offerta» è costruito a dovere, più come l’esplorazione di una personalità repressa e improvvisamente risvegliata che come una vicenda misteriosa che abbisogna di spiegazioni e sorprese.

Qui sta il problema del film: nella necessità, cioè, di dover dare a tutta la costruzione un fondamento logico, che equivale a una soluzione di genere. È un problema perché, nel momento in cui si mettono le carte in tavola, il castello vacilla e lo spettatore è portato a chiedersi: «Tutto qui?». La sorpresa, che non anticipiamo, è insomma un di più che nuoce alle premesse, alle atmosfere, al mistero vero che Tornatore aveva saputo suscitare. Da ricordare l’ottima interpretazione di Geoffrey Rush, protagonista unico sempre in scena, e due singolari assonanze con «Hugo Cabret» di Martin Scorsese: l’automa ricostruito e funzionante e il ristorante di Praga arredato con meccanismi di orologi, dove Virgil rimarrà ad aspettare qualcuno che non verrà.LA MIGLIORE OFFERTA di Giuseppe Tornatore. Con Geoffrey Rush, Jim Sturgess, Sylvia Hoeks, Donald Sutherland, Philip Jackson. ITALIA 2012; Drammatico; Colore