La magica Terra di Mezzo: «IL SIGNORE DEGLI ANELLI»
DI FRANCESCO MININNI
Se qualcuno si preoccupava della concorrenza tra Harry Potter e «Il Signore degli anelli», bisogna dire che potrà dormire sonni tranquilli sia che appartenga all’una o all’altra schiera. Il maghetto con gli occhiali ha già percorso una trionfale passerella d’incassi mondiali, mentre hobbit, elfi e nani si stanno avviando a un analogo unanime consenso. Ciò non vuol dire, naturalmente, che i due film si equivalgano o debbano in qualche modo essere messi a confronto. C’è poco da fare: «Il Signore degli anelli» è la Bibbia del fantasy, la fonte alla quale tutti gli autori di storie magico-avventurose si sono abbeverati (compreso Harry Potter), anche se non guasterà ricordare che J.R.R. Tolkien si è a sua volta ispirato ad antiche leggende celtiche e germaniche, alla mitologia classica e, guarda un po’, all’Antico Testamento. Il film in tre parti del neozelandese Peter Jackson ha molti meriti e qualche difetto, come si addice a un progetto costato 300 milioni di dollari e non legato esclusivamente ad effetti speciali digitali, ma alla necessità di ricreare un’atmosfera magica autentica e non baracconesca. Le perplessità si riassumono in due fattori.
Da una parte «Il Signore degli anelli» potrà essere giudicato veramente soltanto fra due anni, dopo l’uscita degli altri due episodi: per il momento è soltanto un lunghissimo prologo che finisce proprio quando dovrebbe cominciare. Dall’altra, un’eccessiva solennità e la mancanza d’ironia lo rendono (per il momento?) incapace di trasmettere emozioni a chi non sia già predisposto dalla lettura del romanzo. È anche vero, d’altronde, che Jackson si dimostra attento lettore di Tolkien riuscendo a ricostruire paesaggi e, cosa ancor più difficile, personaggi che appartengono al patrimonio culturale (magico?) dell’umanità.
Il Gandalf di Ian McKellen, il Saruman di Christopher Lee e, tutto sommato, anche il Frodo di Elijah Wood corrispondono all’immagine che tanti appassionati si sono fatti di quei personaggi: soltanto Cate Blanchett, nei panni di Galadriel la regina degli elfi, perde terreno rispetto alla pagina scritta. Ed è vero che in alcuni casi (la torre di Saruman, il villaggio degli hobbit) la corrispondenza tra la fantasia di Tolkien e un’adeguata rappresentazione cinematografica è pressochè perfetta. Bisogna ammetterlo: pur non essendo né tolkieniani né jacksoniani, la capacità di controllare una materia tanto vasta e soggetta a dispersioni ci induce a tenere il film nella giusta considerazione. Con tutto il rispetto e senza entusiasmo.