Andare alle radici della violenza: «COME HARRY DIVENNE UN ALBERO»

DI FRANCESCO MININNI

Per capire qualcosa della violenza è necessario ascoltare chi la conosce per esperienza diretta. Così apparirà chiaro che non è necessario dare fuoco alle polveri e spendere in effetti speciali: la violenza, prima di arrivare a conseguenze fisiche, è un fattore sottilmente psicologico. Il serbo Goran Paskaljevic, apertamente contrario al regime di Milosevic e per questo emarginato, minacciato e costretto ad emigrare, conosce la violenza. Era apparso chiaro ne «La polveriera» del 1998, dove le radici della violenza erano ricercate in un film corale dai toni ora aspri ora grotteschi, e appare ancora più chiaro in «Come Harry divenne un albero».

La genesi del film, molto particolare, dà un’idea delle strade che un autore può seguire per arrivare all’obiettivo. Sulla base di un racconto cinese, «Lao Dan», Paskaljevic ha scritto una sceneggiatura che avrebbe voluto ambientare in Serbia. Non potendo tornare nel paese natale e dopo aver preso in considerazione altre possibilità, ha scelto l’Irlanda. Ne è venuto fuori un film irlandese che, con ritmi lenti e qualche forzatura nel racconto, riesce a parlare di temi universali con grande proprietà di simboli e soprattutto con un’idea ben precisa dei mezzi e del fine.

Harry, vedovo e con un figlio, coltiva cavoli e non sembra avere più interessi nella vita. Fino al giorno in cui, senza motivo, decide di scegliersi un nemico per dare un senso alla propria esistenza. Una volta individuato il soggetto, il potente George, fa di tutto per screditarlo e distruggerne l’immagine. Intanto suo figlio Gus si sposa con Eileen ma, inibito dalla prepotenza paterna, non riesce a vivere con lei un rapporto sereno. Accadrà qualcosa, come sempre quando il seme gettato è poco buono. E Harry, che ha spesso sognato di diventare un albero, lo diverrà davvero…

Con l’aiuto dell’interpretazione sanguigna e sfumata di Colm Meaney, Paskaljevic riesce a tracciare un percorso simbolico assolutamente attendibile. Harry non è necessariamente Milosevic: è chiunque, decidendo di avere un nemico (anche uno che non gli ha fatto niente di male), inneschi un processo di violenza che potrebbe condurre a conseguenze catastrofiche. Qui la simbologia dell’albero è chiarissima: sta fermo al suo posto, ma mette radici e allunga i rami. Per cui, se anche Paskaljevic ha scelto un albero senza foglie, i frutti verranno.

È evidente che, estendendo il discorso dal microcosmo del paese irlandese a uno scenario più ampio, si può tracciare una mappa della violenza impressionante: puerile, immotivata, stupida e enormemente pericolosa.

COME HARRY DIVENNE UN ALBERO (How Harry Became a Tree) di Goran Paskaljevic. Con Colm Meaney, Adrian Dunbar, Kerry Condon. ITALIA/IRLANDA/UK 2001; Drammatico; Colore