DI FRANCESCO MININNIÈ evidente anche ai meno esperti che «John Q» di Nick Cassavetes è un melodramma sociale pieno di forzature e di accomodamenti. È altrettanto evidente che il suo lieto fine a 360° va al di là di ogni possibile realismo. È persino evidente che la divisione dei ruoli è preordinata al punto da diventare prevedibile: da una parte l’onesto uomo di colore perseguitato da ogni possibile sfortuna e da tutte le clausole in piccolo che nessuno legge mai prima, dall’altra i bianchi che invece conoscono le regole e non le trasgrediscono al punto da diventare malvagi (salvo poi, come accade alla direttrice dell’ospedale interpretata da Anne Heche, cambiare parere in modo idealistico e poco credibile). Forse la cosa più evidente è che, nonostante la parentela diretta, Nick Cassavetes non ha ereditato dal padre John il rigore e la precisa volontà di non soccombere alle leggi del cinema commerciale.Tutto questo è evidente. Quel che non riusciamo a capire è come nessuno si accorga del valore intrinseco a un’opera pur sempre di facile consumo come questa. Il che significa che, mentre tutti sono molto bravi a gettare luce su ogni più piccolo difetto, nessuno sembra in grado di prendere da «John Q» quel che di buono ha da offrire. A noi non sembra ci vogliano una laurea o una specializzazione per capire come il film di Cassavetes, con tutti i suoi difetti, abbia il gran pregio di informarci di alcune regole che rendono il sistema sanitario americano un gioco molto difficile da giocare e di quanto possa essere disumano un gioco che ha come posta la vita della gente.John Q è un operaio che deve arrabattarsi per far vivere decentemente la moglie e il figlio. Quando però al figlio è riscontrata una malformazione cardiaca che rende necessario un trapianto, il castello di carte crolla: l’assicurazione di John non copre un simile intervento, non ci sono i contanti necessari a pagarlo, nessuno è disposto a tendere una mano. Alla disperazione, John torna all’ospedale con una pistola, prende degli ostaggi e chiede che il nome del figlio sia inserito nella lista.«John Q», per portare il pubblico dalla parte del protagonista, sfrutta gli espedienti del melodramma popolare, del thriller e persino della commedia di costume. Così la sua legittima indignazione perde vigore sociale e diventa un elemento spettacolare al pari degli altri. Se aggiungiamo due personaggi di riporto (il poliziotto di Robert Duvall e il capo della polizia di Ray Liotta) e due da fumetto (il cardiochirurgo di James Woods e la direttrice di Anne Heche), potremmo avere un quadro deficitario. Ma basta leggere tra le righe per comprendere come anche la finzione di «John Q» possa aiutarci a capire la realtà di quel paese tanto democratico e tanto spietato conosciuto come America.JOHN Q (Id.) di Nick Cassavetes. Con Denzel Washington, Robert Duvall, James Woods, Anne Heche. USA 2002; Drammatico; ColoreIl sito del film