Quando l’eroe arriva per ultimo: «SOTTO CORTE MARZIALE»
Nel 1944, in un campo di prigionia tedesco, l’arrivo di due ufficiali di colore crea qualche problema. Esclusi dalla baracca degli ufficiali, i due sono destinati a una baracca di soldati, alcuni dei quali particolarmente avversi al colore della loro pelle. Uno dei due, accusato di furto, è immediatamente giustiziato dai tedeschi. L’altro, accusato di omicidio, è sottoposto al giudizio di una corte marziale presieduta dall’ufficiale più alto in grado, il colonnello McNamara. Questi assegna al tenente Hart la difesa dell’accusato. Hart si impegna a fondo: ma scoprirà quante manovre si nascondano dietro l’accaduto, quale possa essere la differenza tra coraggio e viltà, quale sia il reale significato della parola «onore».
Mentre la storia procede, ci si accorge che anche se il genere bellico-processuale ha un margine veramente minimo di novità, il senso del ritmo di Hoblit e la buona sceneggiatura di Ray e George non consentono distrazioni o sbadigli. Come dire che un sensato dibattito sul valore della persona umana, sulla giustizia e sulla dignità è sempre in grado di toccare corde che comunque ci appartengono e che è importante non far atrofizzare. Proprio per questo, quando i giochi sembrano fatti e siamo ormai rassegnati all’ennesima grande ingiustizia, una sorpresa finale e l’imprevedibile (peggio: insensato) voltafaccia di un personaggio fanno quadrare i conti con la storia da raccontare a figli e nipoti perché siano convinti che a questo mondo non ci sia niente di meglio che nascere americani. E «Sotto corte marziale» dimentica la battaglia in difesa dell’uomo per combattere quella (molto più facile) a favore dell’eroe. Che questa volta, però, arriva proprio per ultimo.
SOTTO CORTE MARZIALE (Hart’s War) di Gregory Hoblit. Con Bruce Willis, Colin Farrell, Linus Roache. USA 2002; Drammatico; Colore