L’India tra fiaba e realtà

di francesco MininniC’è sempre qualcosa da imparare. Conoscevamo il cinema indiano soltanto per le rigorose analisi sociali di Satyajit Ray e Mrinal Sen, quei film che di preferenza vengono scelti dai selezionatoori dei festival internazionali e che circolano nei circuiti d’essai. Sapevamo però che il cinema indiano è anche altro: che è colorato, brillante, vivace, estremamente prolifico e di grande impatto popolare. Di questo cinema, però, non era possibile avere tracce dirette. Ora «Lagaan» di Ashutosh Gowariker arriva a colmare una lacuna storica e rappresenta una piacevole sorpresa.

La storia, in realtà, è lineare: alla fine dell’Ottocento un villaggio dell’India centrale è vessato dalle tasse imposte dagli inglesi e un contadino particolarmente focoso, Bhuvan, accetta la sfida del capitano britannico. Se gli indiani riusciranno a battere gli inglesi in una partita di cricket, non pagheranno tasse per tre anni. In caso contrario, dovranno pagarne il triplo.

È una fiaba, «Lagaan», ma poggia su solidissime basi storiche e sociali. E soprattutto rende perfettamente l’idea di cosa possa essere un grande spettacolo popolare indiano: un occhio alle tradizioni occidentali, canzoni e musiche (magari qualche sottotitolo sarebbe stato gradito), tutte le sfumature del melodramma, suoni e colori, un particolarissimo senso del ritmo, le figure tradizionali dell’eroe, del cattivo, della bella e del traditore, ma anche la consapevolezza di una accentuata coscienza nazionale che trasforma la fiaba in una parabola storica e sociale. Tutto questo è bello, soprattutto se consideriamo che alcuni passaggi di «Lagaan» sono apparentemente assimilabili alle sceneggiate napoletane o alle commedie vernacolari: in realtà la differenza che li separa è enorme perché le tradizioni indiane, a quanto pare, mirano più in alto. «Lagaan» (che sarebbe il tributo dovuto dai contadini) ha uno strano sottotitolo che suona «Once Upon a Time in India», ovvero «C’era una volta in India». Questo, se da una parte ribadisce l’ambito della fiaba nel quale il film si muove, dall’altra non può non ricordare per assonanza «C’era una volta in America». Che non è comunque un ricordo casuale: Gowariker, in certe inquadrature di primi e primissimi piani e in alcuni dettagli quasi in stile western dell’incontro di cricket, mostra di conoscere piuttosto bene il cinema di Sergio Leone. Anche nei tempi narrativi: se proprio dobbiamo sollevare una riserva, le tre ore e quaranta minuti di durata del film (che in realtà non si avvertono mai) potevano forse essere ridotte senza problemi. Ma anche così «Lagaan» è uno spettacolo di prim’ordine che ci fa conoscere un cinema indiano che proprio non rientrava nel nostro campo visivo e che adesso, improvvisamente, è diventato un pianeta da scoprire.

LAGAAN di A. Gowariker. Con A. Khan, G. Singh, R. Shelley.