2002, i film da salvare

di Francesco MininniTutto sta a mettersi d’accordo sul significato della parola «divertimento». Se si continua a pensare che divertimento sia soltanto passatempo spensierato, è un conto. Se invece ci troviamo d’accordo sul fatto che il divertimento, oltre all’emozione e alla risata, può suscitare anche riflessione, meditazione, dibattito, il campo comincia ad essere un po’ meno ristretto.Se fosse soltanto questione di passatempo, della produzione cinematografica del 2002 sarebbero da salvare soltanto Monsters & Co. di Pete Docter, il disneyano Lilo & Stitch di DeBlois e Sanders, L’era glaciale di Saldanha e Wedge. Ma con tutta la buona volontà, tre film d’animazione in un anno ci sembrano pochi.

È necessario, pertanto, andare un po’ al di là del semplice divertimento e, per così dire, cominciare a fare le persone serie. Con la premessa indispensabile che, in un momento in cui sarebbe necessario salvare il mondo, continuare a salvare film ci fa sentire vagamente inutili.

Pauline & Paulette di Lieven Debrauwer è una bella riflessione poetica sui fratelli meno fortunati e sul loro diritto di esistere. Casomai di Alessandro D’Alatri è una commedia con i piedi per terra e, udite udite, con un prete intelligente. The Majestic di Frank Darabont è una piccola lezione di democrazia con tanta passione e un po’ d’utopia. Il figlio di Luc e Jean-Pierre Dardenne è una riflessione severa e rigorosa sulla difficile arte del perdono. Lagaan di Ashutosh Gowariker è un film-fiume che, con gusto e senso dello spettacolo, sbeffeggia gli inglesi ribadendo la dignità indiana. Undisputed di Walter Hill è un film secco e ben ritmato su molte ingiustizie della vita e su quanta dignità possa esservi in un vincitore che rimarrà perdente. Mulholland Drive di David Lynch è l’ennesima incursione di un visionario nei territori del sogno e dell’incubo, con qualche problema dovuto alla consueta mancanza di misura.

L’uomo del treno di Patrice Leconte è una triste, delicata elegia sul sogno, che prima o poi sfiora chiunque, di voler essere qualcun altro. Bamboozled di Spike Lee è un’acida, polemica e fantasiosa indagine su quale debba essere il ruolo del «nero» nella società: con molto umorismo grottesco e senza le esasperazioni violente cui l’autore ci aveva abituati. Bowling a Colombine di Michael Moore, documentarista coraggioso e penetrante, ci fa conoscere da vicino il mercato delle armi che qualifica la vita del cittadino medio americano: davvero un film da non perdere.

S1mOne di Andrew Niccol inventa una diva virtuale per aiutarci a comprendere come sia sempre più difficile avere un buon rapporto con la realtà. Come Harry divenne un albero di Goran Paskaljevic sfrutta una storia popolare irlandese per andare alle radici della violenza che oggi viviamo. A torto o a ragione di Istvàn Szabò mette a confronto un ufficiale americano e il direttore d’orchestra tedesco Furtwangler per raccontare il rapporto tra arte e potere con grande acume storico. Italiano per principianti di Lone Scherfig non è un gran film: ma ci è sembrato giusto segnalare l’unico film danese che, pur essendo affiliato a Dogma 95, non affonda nel pessimismo esistenziale e, addirittura, ci ride sopra.

Il silenzio dopo lo sparo di Volker Schlondorff ripropone con serietà e buon senso il tema del terrorismo, che a quanto pare è sempre d’attualità. Minority Report di Steven Spielberg, non omogeneo e forse troppo lungo, ha però la buona idea di raccontare in forma pseudo-fantascientifica alcune verità che riguardano tutti noi. Infine Ghost World di Terry Zwigoff che, dalla «solita» escursione nel mondo dei giovani allo sbando, arriva a qualche interessante riflessione sul valore dell’esperienza, sulla forza del sogno (vogliamo chiamarlo speranza?) e sulla necessità di non mollare mai.

E, a ben pensarci, non è vero che ci sentiamo così inutili. In momenti, più che di tristezza, di grande superficialità, anche un buon film può far riprendere confidenza con pensieri, valori e interiorità.