Tre donne unite attraverso le porte del tempo: «THE HOURS»

DI FRANCESCO MININNILe immagini su cui scorrono i titoli di testa di «The Hours» sono al tempo stesso affascinanti e preoccupanti. Si comincia con Virginia Woolf che, nel 1941, scrive al marito una lettera d’addio, si riempie le tasche di sassi e si immerge nel torrente da cui non riemergerà più. Si continua con Laura Brown, nel 1951, madre di Richard e in attesa di un altro figlio, il giorno del compleanno del marito. Si finisce nel 2001 con la newyorkese Clarissa: ha una figlia, vive con una donna e ama un poeta che sta morendo di Aids. Le tre storie, unite dal filo del gran lavoro musicale di Philip Glass, ci pongono in quindici minuti un quesito di fondo: riusciremo a comprenderne il significato o ci limiteremo ad apprezzarne qualche qualità tecnica arrivando alla conclusione che il significato forse non c’è?Più che la firma del regista Stephen Daldry, già autore di «Billy Elliot», ci ha incuriosito quella dello sceneggiatore David Hare, conosciuto come drammaturgo («The Blue Room») e come regista cinematografico («Il mistero di Wetherby» e «Paris by Night»).

I suoi testi, pur richiedendo sempre un grande impegno, difficilmente rimandano a casa a mani vuote. E «The Hours» non fa eccezione. Se escludiamo un’appendice (tematicamente indispensabile) che mostra Julianne Moore invecchiata da un trucco poco credibile, il film non è soltanto affascinante: è una storia d’amore ed egoismo, di cose della vita e scelte estreme, di dialoghi intensi e silenzi assordanti. La storia di tre donne misteriosamente unite attraverso le porte del tempo da una serie di sconcertanti affinità elettive: Virginia senza figli, Laura con due figli che abbandonerà, Clarissa con una figlia avuta tramite inseminazione artificiale. Di più: Virginia sta scrivendo il suo romanzo «Mrs. Dalloway»; Laura, a un passo dal suicidio, legge «Mrs. Dalloway» e sceglie la fuga; Clarissa è soprannominata Mrs. Dalloway dal poeta Richard, che non è altri che il primogenito di Laura.

La sostanza di «The Hours», che può contare su una regia competente e su un cast davvero ragguardevole, è una riflessione amara e senza fronzoli sui fili sottili che possono legare l’amore e la morte. Dove la morte, a quanto pare, finisce per avere il sopravvento e la speranza non ha più connotati umani ma è legata unicamente alla sopravvivenza dell’opera d’arte.

Quasi mai compiaciuto, spesso toccante e tutt’altro che superficiale, «The Hours» ci riconcilia con un cinema che tende all’interiorità senza sembrare mai intellettualistico o men che meno noioso. Ci riconcilia con un’alta professionalità che, senza cercare strade troppo facili, ci fa capire quali risultati si possano ottenere usando la tecnica con finalità espressive. Ci fa ritrovare tre attrici, Meryl Streep, Julianne Moore e Nicole Kidman, che sanno andare al nocciolo dei personaggi senza rubare la scena a nessuno. Il segreto, forse, è stato di non farle mai incontrare sul set.

THE HOURS (Id.) di Stephen Daldry. Con Nicole Kidman, Meryl Streep, Julianne Moore, Ed Harris. USA 2002; Drammatico; Colore