Un po’ di calore in questo mondo gelido: «TUTTO O NIENTE»
«Tutto o niente» procede su questa strada per circa tre quarti della sua durata, alternando episodi drammatici ad altri attraversati da una comicità mesta e apparentemente involontaria: come accadeva in «Ladybird Ladybird» di Loach dove, dopo che le autorità toglievano alla madre anche il quarto figlio, era difficile credere alla scritta «una storia vera». Poi, però, Leigh offre la chiave di lettura del film che, arrivando così tardi, dovrebbe consigliare una seconda visione: qualunque disgrazia, qualunque problema economico, qualunque difficoltà sembrano sempre meno gravosi se si ha la certezza di essere amati da qualcuno. Così i brutti, sporchi e cattivi ridiventano improvvisamente esseri umani e ci offrono un appiglio cui afferrarci con tutto il film, che, senza nulla togliere agli eccessi non sempre motivati della lunga prima parte e a tutta la differenza che corre tra ispirazione e semplice maniera, assume un significato inaspettatamente costruttivo. Non ottimista né consolatorio: semplicemente costruttivo.
Il meglio di «Tutto o niente» sta nell’interpretazione dei due protagonisti: Timothy Spall, attore prediletto da Leigh (era anche in «Segreti e bugie»), è nato per personaggi come Phil; Lesley Manville (era anche in «Topsy-Turvy») è una Rachel forse indimenticabile. E, sotto sotto, bisogna per forza prendere atto che in qualche parte del mondo possano accadere con frequenza impressionante avvenimenti come quelli raccontati da Leigh in un fazzoletto di Londra.