Da Livorno alla Sicilia all’America: «MY NAME IS TANINO»
Sbloccato dopo il lungo blackout dovuto alle note vicissitudini del gruppo Cecchi Gori, mostra nell’autore la volontà di andare oltre lo scenario toscano prima e italiano poi per raccontare la vicenda di un giovane siciliano sognatore, illuso e più che ingenuo alla conquista dell’America. Anche così, anche andando a frugare oltreoceano per allargare gli orizzonti, Virzì non riesce ad affrancarsi dalla rappresentazione macchiettistica di un’Italietta da cartolina.
Tanino sogna di fare il cinema da regista. Quando gli capita l’occasione di andare in America la coglie al volo: ma anche nel Rhode Island troverà una colonia di italo-americani che gradirebbero organizzargli un matrimonio d’interesse con la figlia cicciona del sindaco Omobono. E gli americani? Ipocriti, superficiali, talora minacciosi. Persino il suo idolo, il regista indipendente Chinawsky, è un poveraccio senza una lira che guarda nella telecamera dalla parte sbagliata. Il provvedimento di rimpatrio, così, finirà per essere una benedizione…. Un po’ Pinocchio, un po’ Cabiria, Tanino è anche tanti emigranti che si illudono con sogni di gloria e sono poi costretti a tornare alla realtà. Personaggio destinato a subire, raramente capace di un’iniziativa, si fa comunque amare per la sua sincerità, l’assenza di cattiveria e l’ingenuità ai limiti dell’inettitudine. Il problema è che, azzeccato il personaggio centrale (cui Corrado Fortuna presta un volto sincero e convincente), Virzì lo circonda di stereotipi facendolo passare da una commedia all’italiana all’altra, con toni grotteschi al limite della saturazione. I siciliani sono quelli delle barzellette, gli americani quelli dei film Disney, gli italo-americani quelli del «tarallucci e vino». Così un tentativo interessante nelle sue motivazioni diventa strada facendo (molto presto, fin dall’avvio in Sicilia) una galleria di bozzetti già conosciuti e in parte già venuti a noia. Quando Domenico Starnone, nei panni del professore di cinema, chiede al protagonista un film di Fellini con un numero nel titolo e Tanino risponde «Dodici», verrebbe da pensare «Questo è troppo». E invece non siamo neanche a metà film.