I colori della speranza: «BARAN»

DI FRANCESCO MININNISi può parlare in tanti modi di speranza e solidarietà. Se ne può parlare, come fanno in tanti, e si può provare a fare qualcosa, come fa qualcuno. Anche se fosse soltanto un film, sarebbe comunque un sasso gettato in uno stagno che rischia di imputridire. L’impressione che si ricava da «Baran» di Majid Majidi, è quella di una apparente disperazione che attende soltanto un segnale, una mano, un sorriso per trasformarsi in speranza. E, nonostante certi passaggi troppo facili che gli hanno guadagnato l’interesse di una major come la Miramax, «Baran» è un film sincero e sotto certi aspetti appassionante che, dalla realtà iraniano/afghana, ci mette poco a invocare una universalità di temi che lo rendono attuale e di più ampio significato. Come un dove che, da un momento all’altro, si trasforma in un ovunque.

In un cantiere iraniano lavorano operai iraniani e afghani. Un giovane iraniano, in particolare, sembra costituzionalmente ribelle e attaccabrighe, come tutti quelli che si trovano in un luogo per necessità ma che per desiderio vorrebbero essere altrove. Le cose cambiano il giorno in cui un operaio afghano si infortuna e, per non perdere il prezioso stipendio, manda a lavorare il giovanissimo figlio che, dimostratosi non in grado di portare carichi pesanti, è destinato alla distribuzione del tè e al vettovagliamento. L’iraniano, scalzato dalla sua comoda posizione, ci resta malissimo e fa il possibile per rendergli la vita difficile. Almeno fino al giorno in cui non si rende conto che il giovane è una giovane…

«Baran», che significa «Nel nome di Dio», non è certo una storia d’amore, almeno non come abitualmente la si intende. È una storia d’amore in quanto ci mostra quante facce possa avere l’amore e quanti cambiamenti possa effettuare nell’animo umano. Come, cioè, un individuo testardo e irrequieto possa pian piano trasformarsi in una persona altruista e responsabile. Come, insomma, una situazione potenzialmente esplosiva possa ricondursi ai termini più accettabili dell’umana convivenza. Non importa se tra razze diverse e in luoghi di grande incertezza sociale e politica: l’importante è il movimento dell’animo, più dei gesti e più delle parole.

Majidi riesce a trasmettere un messaggio che prima è di solidarietà, poi di speranza, senza tanto bisogno di dialoghi: i suoi personaggi agiscono e dalle loro azioni scaturisce il significato del film. Sul quale dovrebbero riflettere attentamente tutti quelli che pensano che una missione di pace consista nel sedersi attorno a un tavolo presentando istanze e discutendo mozioni, senza considerare che il primo luogo in cui deve scaturire la pace è in realtà il cuore della gente. È da qui che bisogna partire, come ha fatto Majidi, per costruire qualcosa che abbia un fondamento e una speranza di mettere radici.

BARAN (Id.)di Majid Majidi. IRAN 2001; Drammatico; Colore