Solitudine nel silenzio più assordante: «MARATHON»

DI FRANCESCO MININNIGretchen, una ragazza di New York, è appassionata di cruciverba. Ma va oltre: scommette con se stessa che riuscirà a completare più di 77 cruciverba in 24 ore per battere un precedente record. Sapremo poi che sua madre (che resterà una voce nella segreteria telefonica) è arrivata a 86. E per tentare la sua impresa, chiamata «maratona», Gretchen ha bisogno di stare in mezzo alla gente, nel frastuono del traffico, possibilmente a bordo della metropolitana a spasso per New York. Il che, naturalmente, esclude la possibilità di qualunque contatto umano, dialogo o scambio di opinioni: Gretchen è sola con se stessa e i suoi fogli di giornale.

È evidente che realizzando «Marathon» l’iraniano Amir Naderi non aveva alcuna ambizione di realismo. Il suo film, girato con immagini «sporche» e con una tecnica più riconducibile al documentario o al cinema-verità, è chiaramente simbolico e sicuramente non commerciabile ad alcun livello. La produzione è americana, il copyright del 2002: ma sembra che Naderi abbia girato il film poco prima dell’11 settembre 2001, della qual cosa bisogna tener conto prima di esprimere un giudizio. L’impressione che si ricava da questo strano film sperimentale, infatti, è quella di una difficile metafora sull’esistenza. Ma non sull’esistenza in generale: più specificamente sull’esistenza di molti cittadini americani. Gretchen, a leggere il film letteralmente, è una povera illusa che perde tempo inseguendo sogni.

Ma leggendo in filigrana, invece, emerge il ritratto di una persona alla disperata ricerca di certezze che non riuscirà a trovare; oppure di un’individualista che conosce il mondo soltanto per ciò che rientra nel proprio campo visivo; o ancora di un patetico avvocato delle cause perse; infine di una solitudine che non fa niente per cambiare le cose e probabilmente continuerà così per tutta la vita. Così si spiegano la ricerca del rumore assordante, la necessità della presenza di altre persone tutte perfettamente sconosciute, il depistaggio dell’unica persona che sembra conoscerla e, dopo molti tentativi, si ricorda persino il suo nome, l’attonito stupore di fronte al silenzio irreale della neve.

Naderi è certamente un consapevole creatore d’immagini e ancor più un orchestratore di rumori, musiche e voci: «Marathon», di breve durata ma estremamente dilatato nei tempi del racconto soprattutto nella prima parte, si fa apprezzare per rigore stilistico e capacità simbolica, mostrando qualche singolare affinità con il lungometraggio d’esordio di Jim Jarmusch «Stranger than Paradise» anche in virtù di una fotografia in bianco e nero tutt’altro che nitida e luminosa. Naderi non concede niente alla platea e detta regole che non possono essere trasgredite. Ma chi cerca un’esperienza diversa dal solito, la troverà.

MARATHON (Id.) di Amir Naderi. Con Sara Paul, Trevor Moore.