«THE DREAMERS»
I tre ragazzi che a Parigi, nella primavera del ’68, vivono una totale iniziazione prima cinematografica, poi sessuale e infine politica, non sarebbero altro che patetici radical-chic se un sanpietrino vagante, sfondando il vetro di una finestra, non li risvegliasse da un torpore che rischia di trasformarsi in morte, inducendoli a scendere in strada tra i manifestanti. L’americano Matthew si ritira in buon ordine, i francesi Theo e Isabelle (fratello e sorella) si lanciano contro la polizia armati di molotov. Eppure tutto era cominciato nel migliore dei modi: con le spedizioni alla Cinemathèque di Langlois, con il gioco delle citazioni (da Godard, da Bresson, da Fuller, da Mamoulian, da Chaplin, da Keaton, da Browning, da Sternberg, da Hawks) che trasformano la vita in un già vissuto immaginario, con la voglia di conoscersi e di trasgredire un mondo troppo sottomesso a regole antiche. Con qualche segnale inquietante: Matthew si masturba mentre scrive una lettera alla madre, Theo e Isabelle vivono un rapporto torbido anche se non estremizzato.
Poi riaffiora il «solito» Bertolucci, quello che mette in piazza problemi propri pretendendo di trasformarli in dubbi esistenziali universali. Quello che, affermando che il regista è un guardone, che un film è un crimine e che il regista ne è il principale responsabile, dice una verità persino scontata, ma dimentica di spiegarci perché mai nel suo caso l’essere un guardone si ricolleghi invariabilmente a tematiche sessuali esplicite, più funeree che gioiose, più sgradevoli che attraenti, eppure sempre osservate con occhio né critico né revisionista, ma piuttosto compiaciuto e complice.
I flash di grande cinema (la corsa nel Louvre, i parallelismi tra passato e presente, il picchettaggio davanti alla Cinemathèque sotto la pioggia) si perdono così in un quadro generale limitato e persino schematico. Sembra che Bertolucci ricordi il ’68 per l’impatto che ha avuto sui rapporti interpersonali e con le istituzioni, rifiutando però di accettarne (o di ammetterne) il tentativo di colpire al cuore una cultura millenaria, di cui i film citati fanno comunque parte. Bene per la sopravvivenza della cultura, dunque, e bene per le molotov, i sanpietrini e l’amore libero. È bravo Bertolucci: a noi non riuscirebbe, in uno scontro di piazza, distinguere in un attimo quale sia la cosa per cui combattere e quella da cui difendersi. D’altronde, nel ’68 eravamo undicenni. Che possiamo saperne?
THE DREAMERS di B.Bertolucci. Con M. Pitt, L. Garrel, E. Green, R. Renucci