«ALEXANDRA’S PROJECT»

DI FRANCESCO MININNIIn «Bad Boy Bubby» ha raccontato la rinascita di un minorato coatto. In «Balla la mia canzone» l’amore tra una disabile e un idraulico. In «The Tracker» la ribellione di una minoranza etnica. Adesso, in «Alexandra’s Project», racconta una crisi familiare con conseguente dissoluzione dei legami. Eppure l’australiano Rolf de Heer, portato più alla provocazione a effetto che alla seria disamina dei problemi, continua a convincerci poco. Proprio perché, a ben guardare, sembra più interessato a gettare benzina sul fuoco che a cercare soluzioni realmente costruttive, appartiene di diritto alla grande schiera di quei sociologi e psicologi che, in presenza di un’eventuale miglioramento delle condizioni di vita dell’umanità, sarebbero i primi a rammaricarsene perché, di punto in bianco, rimarrebbero disoccupati.

Alexandra ha organizzato una festa di compleanno molto particolare per il marito Steve: gli fa trovare la casa vuota, le serrature cambiate e una videocassetta nella quale, dopo che lei e i due figli hanno espletato la formalità degli auguri di rito, innesca la bomba. Steve, appagato per una promozione, dovrà ascoltare tutte le ragioni della moglie che, dopo aver improvvisato uno strip-tease, mentito su un tumore al seno e rivendicato la propria identità che non è quella di una donna-oggetto, gli comunica di aver guadagnato dei soldi con l’esercizio della prostituzione e di essere intenzionata a lasciarlo senza fargli mai rivedere i figli.

Tutto qui. De Heer si serve di un racconto indubbiamente originale e privo di attrattive spettacolari tradizionali, anche perché i suoi film ci insegnano che non conosce spettacolo diverso da quello di episodi e particolari sgradevoli che fanno parte della cosiddetta «estetica del brutto». Ha a disposizione due attori, Gary Sweet e Helen Duday, che si sottopongono a uno sforzo non indifferente e reggono da soli l’intero film. Riesce persino a creare una particolare tensione psicologica che trasforma «Alexandra’s Project» in un thriller cupamente claustrofobico. Ma parte dal presupposto che, in presenza di una situazione di conflitto come quella tra Steve e Alexandra, l’unica via d’uscita sia quella della distruzione, senza che alle parti sia concesso il beneficio del confronto diretto, affidato all’occhio gelido di una telecamera. Così, per l’ennesima volta, parte da un presupposto di notevole interesse umano e sociale per scivolare rapidamente nella provocazione sterile, disinteressandosi persino della logica più elementare. È difficile credere, infatti, che Steve, per quanto annichilito e gravemente ferito nell’orgoglio, possa finire i propri giorni guardando all’infinito il frammento video in cui moglie e figli gli augurano un buon compleanno invece di fare fuoco e fiamme per ritrovarli e avere un chiarimento (abbia torto o ragione non importa) dovuto.

«Alexandra’s Project» piacerà ai nichilisti e ai nostalgici de «I pugni in tasca». Nell’uno e nell’altro caso, speriamo che non siano tanti.ALEXANDRA’S PROJECT (Id.) di Rolf de Heer. Con Gary Sweet, Helen Duday, Bogdan Koca, Jack Christie