«LOST IN TRANSLATION»
In «Lost in Translation» abbiamo un attore americano di successo, Bob Harris, che arriva in Giappone per girare la pubblicità di un whisky locale. Alle spalle ha un matrimonio che sopravvive a se stesso, una popolarità che non gli dà alcuna gioia e un bel bagaglio di solitudine. Qualche camera più in là, nello stesso albergo, troviamo Charlotte, a Tokyo per accompagnare il marito fotografo e, benché sposata da poco, già afflitta da problemi di noia e da un consorte che sembra lavorare ventiquattr’ore al giorno. Bob e Charlotte si incontrano al bar dell’albergo e, come si suol dire, socializzano. Solo per accorgersi che in mezzo a quei grattacieli, circondati da luci sfavillanti, nel pieno del progresso di un paese che assomiglia sempre meno alle proprie radici, una semplice stretta di mano può fare la differenza…
«Lost in Translation» (un titolo molto intelligente e quasi intraducibile che riguarda ciò che va perso nella traduzione da una lingua a un’altra) è un film molto triste, con imprevedibili fiammate umoristiche, un ritmo giustamente lento e la progressiva consapevolezza di una grande verità: chi ha messo in giro, con un certo successo, la menzogna che tra contatto umano e rapporto sessuale non ci sia alcuna differenza, andrebbe appeso per la gola e costretto a seguire con attenzione questo film che, fra tristezze quotidiane e progressivo gelo nei rapporti umani, riesce con semplicità a riscoprire l’importanza di uno sguardo e di un sorriso.
LOST IN TRANSLATION (Id.) di Sofia Coppola. Con Bill Murray, Scarlett Johansson, Giovanni Ribisi. USA 2003; Commedia; Colore