«MASTER E COMMANDER»
In questo caso, con «Master & Commander», la prima domanda era: come realizzare un kolossal di mare senza venir meno ai propri principi? Basta poco, dopo il primo scontro tra il Surprise e l’Acheron (Moby Dick?), per capire che l’ottica di Weir non è assolutamente quella dell’avventura marinaresca. E per fortuna basta poco anche per riconoscere la sua mano, il suo tocco così ineguagliabile: la nebbia che salva il Surprise dalla disfatta, le sagome dei marinai che su per le gomene si arrampicano verso il nulla, le note di Mozart sulle distese oceaniche, i ragazzi condotti da Aubrey verso una crescita tanto forzata quanto doverosa, l’insetto stecco che suggerisce al capitano una tattica di battaglia, la natura così bella e così selvaggia sia in mare aperto che sulle Galapagos, sono successive, precise testimonianze di uno stile che non si asservisce a un budget tanto alto da aver richiesto gli sforzi congiunti di Buena Vista, Miramax, Universal e 20th Century Fox.
«Master & Commander» non è un kolossal di mare, ma un nuovo viaggio di Weir alla ricerca dell’uomo. Lo testimonia il fatto che in un film hollywoodiano uno dei due personaggi principali avrebbe preso il sopravvento. Qui, invece, entrambi hanno le loro ragioni, le esprimono civilmente e restano amici. Il che significa che dovere e sapere possono anche trovare (magari faticosamente) la maniera di andare d’accordo: il tempo di una traversata, fino al prossimo scalo.
Russell Crowe e Paul Bettany si fronteggiano con bravura. Ma occhio alla ciurma: senza quegli anziani caratteristi o quei ragazzi così pieni di belle speranze, «Master & Commander» non avrebbe ragion d’essere Così come senza la straordinaria fotografia di Russell Boyd, che incornicia un film troppo intenso e ricco di significati per essere confuso nel mucchio delle strenne natalizie.