«IL CARTAIO»

DI FRANCESCO MININNIDario Argento sembra aver perso la bussola della paura e procede per tentativi. Si trova anche nella spiacevole situazione di sbagliare comunque: se continuasse con lo stile di una volta, lo accuserebbero di non sapersi rinnovare; quando invece tenta di cambiare, lo accusano di sbagliare strada. È un fatto che, da «Trauma» in poi, l’autore ha abbandonato le vie dell’incubo per ricercare un realismo quasi oggettivo che non è nelle sue corde.

Ma quello che in «Nonhosonno» provocava un forte contrasto tra la storia raccontata e il modo di narrarla, ne «Il cartaio» ottiene un effetto di assoluta anomalia. Forse perché la storia del film non assomiglia in alcunché a quelle cui Argento ci aveva abituati, forse perché per una volta i delitti avvengono sempre fuori campo e gli unici eccessi riguardano la minuziosa ispezione su un cadavere all’obitorio, forse per la massiccia presenza di poliziotti e per il fatto che la storia è quasi interamente ambientata in una centrale di polizia, forse per una conclusione assolutamente positiva che spiazza tutti: fatto sta che il rischio che Argento si è assunto questa volta, è il più alto immaginabile. È il rischio che «Il cartaio» non sia riconosciuto dal grande pubblico come un film proprio suo.

La vicenda del serial-killer che rapisce giovani donne e poi sfida la polizia a una partita di videopoker dove la posta in gioco è la vita della sventurata di turno, sembrava ideale per consentire all’autore di giocare con il pubblico come il gatto con il topo. Ma invece di concentrarsi su questo, l’Argento di oggi è stato attentissimo a non comportarsi come l’Argento di una volta: l’unica impresa tecnica è quella di restituire, grazie alla fotografia del belga Benoit Debie, quanto di più simile alla realtà più vera del vero, disinteressandosi di crudeltà, visioni, invenzioni scenografiche e atmosfere da incubo. Pur apprezzando un tentativo che si spera dettato da piena consapevolezza invece che da un caso beffardo, ci si chiede se questa Roma così riconoscibile non sia l’ennesima stravaganza del regista, che ha momentaneamente fatto propri alcuni dettami del Dogma di von Trier in attesa di rituffarsi nei territori della favola nera con l’annunciata conclusione della trilogia fantastica inaugurata da «Suspiria» e proseguita con «Inferno».

A fronte di tutto questo, il videopoker dell’assassino diventa poco più di un gioco da ragazzi. Argento dovrebbe ricordarsi, casomai, di avere qualche difetto storico: i personaggi evanescenti, i dialoghi strampalati, le connessioni logiche inesistenti. Tutte cose che si possono perdonare in un contesto delirante e fantastico, ma che inserite in un progetto di realismo lasciano un segno indelebile.

IL CARTAIO di Dario Argento. Con Stefania Rocca, Liam Cunningham, Claudio Santamaria. ITALIA 2003; Thriller; Colore