«LA RIVINCITA DI NATALE»

DI FRANCESCO MININNIEra il 1986 quando Pupi Avati ci convinse che il suo sguardo sul presente, non filtrato dagli occhi della memoria, era fatalmente pessimista, quasi incapace di autentica fiducia nel prossimo. «Regalo di Natale» salvò la carriera (la vita?) di Diego Abatantuono e colpì al cuore quanti fossero convinti che l’amicizia era un valore irrinunciabile dell’esistenza.

Se, a diciassette anni di distanza, Avati torna sull’argomento con gli stessi attori, lo stesso tavolo verde, la stessa Bologna e una nuova notte di Natale, beh, alla base ci dev’essere un’idea importante che non sia quella di rinverdire un successo ormai archiviato. «La rivincita di Natale» non poteva andare oltre quanto a pessimismo esistenziale. Può però mettere in campo una buona dose di cinismo (le cose vanno come devono andare e nessuno può farci niente) e qualcosa che in tutti questi anni Avati ha curato, sviluppato e perfezionato: la perizia narrativa.

A meno che non stiamo prendendo una grossa cantonata, il motore principale che muove il film è più spettacolare che esistenziale. Avati, cioè, ha saggiamente intuito che quell’amicizia tradita in maniera così fredda e calcolatrice fosse già qualcosa di estremo, molto difficile da replicare e tanto meno aggiornare.

L’unico progresso, in questa direzione, è rappresentato dal fatto che il tradimento, col passare degli anni, si è trasformato in una pratica abituale secondo la quale, scientificamente, tutti tradiscono tutti. Ciò che rende «La rivincita di Natale» un seguito non inferiore al predecessore, invece, è il perfetto meccanismo narrativo che in un certo senso può rievocare il congegno a orologeria de «La stangata».

Franco si è rimesso in pista dopo la batosta ed è uno dei gestori cinematografici più importanti di Milano. Lele ha un tumore al polmone e lavora alla cineteca di Bologna. Ugo ha smesso con le tv private, è finito in galera e ora fa il cameriere. Stefano ha lasciato la palestra e convive con un antiquario. E l’avvocato Santelia, a Lamezia Terme, cura gli interessi della propria fabbrica di giocattoli in attesa che qualcuno lo chiami per giocare. Il che accadrà puntualmente a Natale…

Molto attento alle sfumature psicologiche dei personaggi (dopo una partita come quella, le cose non potevano essere le stesse), Avati lavora d’astuzia per depistare il pubblico impedendogli di anticipare il colpo di scena finale. E, quando mette in tavola l’ultimo poker, ci fa capire che la vendetta, cinematograficamente perfetta, in realtà non dà una soddisfazione appagante. Seduti a quel tavolo, con l’eccezione dell’avvocato Santelia che è un freddo e calcolatore professionista, ci sono quattro perdenti. Indipendentemente da chi vincerà l’ultimo piatto, nessuno ne uscirà col sorriso del vincitore o col ghigno dello sconfitto. Quando tutto quel che hai nella vita è un mazzo di carte, un milione in più o in meno non può fare alcuna differenza. E quell’albero di Natale elettronico azionato col telecomando ci ricorda che non necessariamente il progresso tecnologico corrisponde a un miglioramento della qualità della vita.

LA RIVINCITA DI NATALE di Pupi Avati. Con Diego Abatantuono, Carlo Delle Piane, Gianni Cavina, Alessandro Haber, George Eastman.