«BIG FISH»

DI FRANCESCO MININNICi siamo chiesti spesso se quel gironzolare di Tim Burton intorno all’Olimpo degli autori cinematografici senza mai entrare realmente a farne parte fosse dovuto a carenza culturale, a mancanza di misura, a eccesso di voglia di scherzare, a mentalità da fumetto e a chissà quante altre cose che magari, prese a piccole dosi, per altri soggetti possono diventare motivo di grandezza. «Big Fish», probabilmente il più burtoniano dei film di Burton, soddisfa la nostra curiosità: Tim Burton sta dove sta perché ci si trova bene. Per lui non è importante essere un autore con omogeneità di stile, coerenza tematica, rigore narrativo: per lui è importante continuare a raccontare storie (o balle, che è esattamente la stessa cosa) a qualcuno disposto ad ascoltarle. In questo molto simile a Federico Fellini e alla sua inestinguibile voglia di essere un’attrazione nel circo della vita, Burton ha deciso per la prima volta nella sua carriera di giocare a carte scoperte.

Tutti conoscono Edward Bloom, ma forse nessuno sa chi sia. Suo figlio Will meno degli altri. Affascinato dalle sue storie meravigliose ascoltate durante l’infanzia, Will ha cominciato a dubitare della solidità della figura paterna quando ha capito che, col passare degli anni, le storie sarebbero state sempre le stesse e che Edward è afflitto da una smisurata mania di protagonismo. Eppure, la scoperta che molte delle cose narrate sono accadute davvero e che c’è tanta gente che vuole bene a suo padre potrebbe farlo dubitare. La consapevolezza che una rigida verità assoluta significherebbe la morte della fantasia e che in fondo Edward ha vissuto una vita meravigliosa, gli fanno fare il gran passo: sarà proprio Will a raccontare a suo padre morente quale sia (o potrebbe essere, ma non fa differenza) la fine della storia.

È evidente che Edward Bloom è in realtà Tim Burton. Entrambi, uno con le parole e l’altro con le immagini, vivono per raccontare fantasie e per far sì che storie paradossali e incredibili assumano i contorni della realtà. O meglio, vivono per difendere la propria realtà senza alcuna intenzione di scusarsi quando non corrisponde alla realtà degli altri. E «Big Fish», fantasia coloratissima e un po’ anarchica dove convivono senza problemi favole rosa e racconti neri, gente comune e personaggi da circo, Peyton Place e il reame di Oz, è allo stesso tempo l’autodifesa di un libero pensatore e l’autocelebrazione di qualcuno che si crede un genio. Di certo è il film più libero e sincero di un ragazzo quarantacinquenne che forse non crescerà mai.

BIG FISH (Id.) di Tim Burton. Con Ewan McGregor, Albert Finney, Jessica Lange, Helena Bonham Carter. USA 2003; Commedia; Colore

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