«IL SIERO DELLA VANITÀ»

DI FRANCESCO MININNIChe «Il siero della vanità» sia un film pulp è una cosa evidente fin dai titoli di testa, quando siamo informati che autore della sceneggiatura è anche lo scrittore Niccolò Ammaniti (quello de «L’ultimo capodanno» e «Io non ho paura»). D’altronde il regista Alex Infascelli aveva già indicato in «Almost Blue» quale fosse la direzione in cui ama muoversi: una storia a tinte forti, uno stile visivo molto particolare tra il dark e lo psichedelico, una certa propensione per il thriller e per i suoi maestri storici (in modo particolare Dario Argento). La novità de «Il siero della vanità» sta nelle sue intenzioni fortemente critiche verso la televisione, verso certi talk-show e certi conduttori, verso le reciproche interferenze tra vita e spettacolo. E, come si suol dire con un amatissimo detto popolare, qui casca l’asino.

Lucia, ex-ispettore di polizia, è contattata dal suo ex-marito che la prega di tornare ad indagare per sbrogliare un caso particolarmente complesso. Sembra infatti che qualcuno abbia preso di mira i partecipanti a una singola puntata del seguitissimo «Sonia Norton Show»: un comico televisivo, una cantante, una Miss Italia, un sociologo, il proprietario di un allevamento di struzzi e un mago che si proclama nipote di Houdini. I soggetti sono uno ad uno narcotizzati e sequestrati, mentre Lucia arriva alla conclusione che l’unico di cui non si trova alcuna traccia, il mago, sia il primo dei sospettabili. La verità è troppo stupida per essere rivelata: basti sapere che i famosi «quindici minuti di popolarità» teorizzati da Andy Wahrol possono essere un virus altamente contagioso.

L’asino casca perchè tutto quello che Infascelli, con sorprendente ingenuità, ci sottopone, ci era stato già ampiamente sottoposto da altri. Il talk-show di Sonia Norton (cui partecipa in veste di ospite anche l’ex-brigatista Adriana Faranda) è un’evidente irrisione di Maurizio Costanzo e della sua banda di «esperti di tutto», anche se la conduttrice (interpretata da Francesca Neri) ha le inconfondibili movenze di Raffaella Carrà. Persino i partecipanti li conosciamo già: un sociologo alla Alberoni, un comico alla Platinette, una Miss Italia come tante. La poliziotta di Margherita Buy ha una strana rassomiglianza con quella interpretata da Stefania Rocca ne «Il cartaio» di Dario Argento, con cui esistono anche assonanze di atmosfere e ambientazione. E il problema è che Infascelli, onestamente convinto di avere qualcosa di importante da dire, non ha saputo scegliere tra «Quinto potere», «Eliminate Smoochy», «The experiment» e un qualunque thrilling incentrato su un pazzo dai moventi (per l’appunto) pazzeschi. Così, finendo per stare più attento alla composizione dell’immagine che al contenuto della stessa, ha ottenuto uno sformato dal sapore indefinibile: non particolarmente critico, ma volgare e sciatto come la realtà che rappresenta. Quel che è certo è che si tratta sempre e comunque di dietrologia: a cose fatte arriva uno specialista e ci espone verità che già conosciamo.

IL SIERO DELLA VANITÀ di Alex Infascelli. Con Margherita Buy, Francesca Neri, Valerio Mastandrea.