«AURORA»
Murnau veniva dai successi tedeschi di «Nosferatu», «L’ultima risata», «Tartufo» e «Faust». Aveva dato vita alle ombre dell’espressionismo, aveva raccontato classici e storie di ordinaria tristezza, aveva (scusate se è poco) inventato i movimenti di macchina, fino a quel momento condannata all’immobilismo. Era logico che l’industria cinematografica americana lo corteggiasse, costruendogli ponti d’oro e garantendogli assoluta libertà creativa. A queste condizioni nessuno avrebbe rifiutato. Così «Aurora» fu un film molto costoso e all’avanguardia tecnica dell’epoca. Ma fu anche un insuccesso: Hollywood aveva un’altra idea di commedia romantica e si trovò spiazzata di fronte a una storia di gente comune, di semplici sentimenti, di psicologie elementari e quasi archetipiche, ma soprattutto di grande sperimentazione linguistica, di invenzione tecnica e di ricchezza fotografica.
AURORA (Sunrise: a Song of Two Humans) di Friedrich Wilhelm Murnau. Con Janet Gaynor, George O’Brien, Margaret Livingston. USA 1927; Drammatico; Bianco e nero