«LE CONSEGUENZE DELL’AMORE»
Dopo il promettente esordio con «L’uomo in più», Paolo Sorrentino dà conferma del proprio talento cinematografico ed esistenziale con «Le conseguenze dell’amore». Il suo Di Girolamo è proprio un signor nessuno: separato dalla moglie, senza amici, con tre figli che non gli vogliono parlare, molto spaventato dall’idea che un qualunque rapporto umano possa interferire in un’esistenza che sta scivolando verso una quieta follia. Sorrentino racconta tutto questo nel modo giusto: con inquadrature lunghe, ritmi lenti, adeguato supporto musicale e con un protagonista, Toni Servillo, straordinario nella sua espressione perennemente assente e guardinga. Lo spettatore è costretto a un impegno costante, perché Sorrentino non rivela subito tutti i particolari ma costruisce un’opera e un personaggio in divenire. E anche quando si crede di essere riusciti a comprendere le sue motivazioni, resta il tempo per un cambio di passo che conduce a una conclusione non preventivabile in tutte le sue sfumature. Ci viene da pensare a Silvio Magnozzi (Alberto Sordi) in «Una vita difficile»: anni di umiliazioni e servilismi per arrivare a quel celebre, liberatorio schiaffo al datore di lavoro. Ma qui c’è di più: Magnozzi, schiaffeggiando il potente, rischiava molto, ma non la vita. Di Girolamo, invece, fa una scelta ben sapendo quale sarà il proprio destino: secondo noi, avendo vissuto da schiavo sceglie di morire da uomo libero e di recuperare per intero la propria dignità.