«THE MANCHURIAN CANDIDATE»

DI FRANCESCO MININNIQuarant’anni fa c’erano la guerra di Corea, i comunisti cattivi e l’assassinio di un uomo politico che anticipava di due anni la morte di Kennedy. Abbastanza per fare di «Va’ e uccidi» di John Frankenheimer un film di fantapolitica inquietante e incredibilmente profetico. Oggi, cambiati gli scenari politici e non proponibile lo stesso percorso, il romanzo di Richard Condon subisce numerosi aggiornamenti: la guerra di Corea diventa Desert Storm, ma soprattutto i comunisti cattivi lasciano il posto alla Manchurian, una multinazionale disposta a tutto pur di organizzare un vero e proprio colpo di stato. Così nasce «The Manchurian Candidate» di Jonathan Demme, un remake anomalo ed elegante finché si mantiene in fase di costruzione, terribilmente ingarbugliato e poco credibile quando invece si tratta di tirare le somme.

Il maggiore Marco ha partecipato a un’azione nel deserto che ha fruttato al sergente Shaw la medaglia d’onore. Qualche anno dopo, quando Shaw è in corsa per la vicepresidenza, Marco comincia a riflettere su una serie d’indizi che lo portano a credere di essere stato vittima di un esperimento scientifico analogo al lavaggio del cervello. E mentre il maggiore vorrebbe soltanto allontanare i fantasmi del passato, c’è chi è disposto a tutto pur di non far venire alla luce una verità troppo pericolosa.

Jonathan Demme conosce tutti i segreti della tecnica e riesce a confezionare una prima parte tanto semplice quanto inquietante. Senza acrobazie né trucchi, costruisce un racconto che, anche per quanti avessero visto il film di Frankenheimer, invoglia a conoscere gli sviluppi. Il problema è proprio questo: da una parte l’obiettiva difficoltà di trovare qualche soluzione narrativa originale, dall’altra la necessità di colpire il pubblico con qualche trovata a effetto, portano gli sceneggiatori Pyne e Georgaris ad arrampicarsi sugli specchi per trovare qualcosa di imprevedibile. Va a finire che una delle cose imprevedibili non lo è per niente, mentre l’altra non risulta credibile.

Certo, problemi di logica narrativa a parte «The Manchurian Candidate» è un film in grado di far riflettere su quanto ci sia di onesto nel mondo della politica internazionale e su quanto invece sia legato a interessi di tale portata da giustificare qualunque mezzo permetta di arrivare allo scopo. Ma non basta: dietro il paravento della politica, è di una popolazione intera che si parla. La domanda è: perché dovrebbe essere solo il Presidente ad essere controllato. Ci sono milioni di cittadini che, pur avendo un minor potere individuale, ne hanno uno molto più forte collettivo. E allora torna in campo Orwell…

THE MANCHURIAN CANDIDATE (Id.) di Jonathan Demme. Con Denzel Washington, Liev Schreiber, Meryl Streep, Jon Voight. USA 2004; Thriller; Colore