«FERRO 3/LA CASA VUOTA»
Il protagonista è un giovane vagabondo che, individuate abitazioni momentaneamente vuote, vi si introduce e mette in atto un singolare rituale che prevede riparazioni di oggetti, lavaggio a mano di biancheria e capi di abbigliamento, in un caso addirittura la rispettosa sepoltura di un defunto. In cambio, mangia e dorme nella casa che ha visitato.
Il percorso di Ki-Duk non è soltanto affascinante e, in una certa misura, piacevole. È soprattutto inequivocabile nelle sue precise puntualizzazioni: il vagabondo non ruba, fa del bene gratuitamente, vive un amore fatto di sguardi e mai di parole. E, quando la pressione esterna diventa troppo forte, scompare: non nel senso che scappa o muore, ma che torna alla pura dimensione spirituale cui appartiene. Come chiaramente evidenziato nella bellissima immagine su cui si chiude il film: lui e lei insieme su una bilancia che segna zero.
«Ferro 3» (nessun mistero: è una mazza da golf), benché l’autore si lasci talvolta prendere la mano da una simbologia che avrebbe richiesto meno allegati, riconcilia con un cinema di idee che scaturiscono dalle immagini. Dove il vagabondo (Hee-Jae) è Chaplin senza cattiveria né cinismo, e la donna (Seung-Yeon-Lee) è Lillian Gish senza i fiumi di lacrime dell’epoca del muto. Kim Ki-Duk non è un ottimista: sa soltanto che c’è molto da lavorare e che ognuno deve fare la sua parte.
FERRO 3/LA CASA VUOTA (Bin-Jip) di Kim Ki-Duk. Con Hee-Jae, Seung-Yeong-Lee.