«FERRO 3/LA CASA VUOTA»

DI FRANCESCO MININNIKim Ki-Duk, autore sudcoreano conosciuto in Italia per «Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera», ama raccontare una realtà che non c’è ma che, con uno sforzo di volontà o di fantasia, potrebbe esserci. In quel caso era la crescita di un giovane monaco che avvertiva il forte conflitto tra spirito e carne. In «Ferro 3/La casa vuota» è la disperata necessità di uscire da una gabbia che non permette alcuna libertà se non quelle decise da altri.

Il protagonista è un giovane vagabondo che, individuate abitazioni momentaneamente vuote, vi si introduce e mette in atto un singolare rituale che prevede riparazioni di oggetti, lavaggio a mano di biancheria e capi di abbigliamento, in un caso addirittura la rispettosa sepoltura di un defunto. In cambio, mangia e dorme nella casa che ha visitato.

Quando, in una delle sue visite, si imbatte in una donna triste, sembra proprio amore a prima vista. Che, nonostante il marito e la polizia, andrà avanti oltre ogni barriera.La frenesia simbolica di Ki-Duk potrebbe rappresentare un pericolo, soprattutto se il pubblico dovesse decidere di chiudere i contatti col film causa troppe domande senza risposta. E invece, per chi avrà la pazienza di tirare le somme, ci saranno una domanda e una risposta a dare un senso al tutto. Come si fa a vivere in un mondo che non ci assomiglia per niente? Si cerca di cambiarlo, per quel poco che dipende da noi, e poi se ne costruisce uno che ci piaccia di più. È evidente che questo potrebbe sfociare nell’anarchia e nel caos (per non parlare della schizofrenia): ma Kim Ki-Duk ha l’accortezza di farci capire che la fuga dei protagonisti corrisponde a un’esigenza molto più spirituale che carnale. Pertanto, per accettare di vivere in mezzo a grettezza, cattiveria, violenza, stupidità e sistemi repressivi, è indispensabile recuperare la dimensione dell’invisibile.

Il percorso di Ki-Duk non è soltanto affascinante e, in una certa misura, piacevole. È soprattutto inequivocabile nelle sue precise puntualizzazioni: il vagabondo non ruba, fa del bene gratuitamente, vive un amore fatto di sguardi e mai di parole. E, quando la pressione esterna diventa troppo forte, scompare: non nel senso che scappa o muore, ma che torna alla pura dimensione spirituale cui appartiene. Come chiaramente evidenziato nella bellissima immagine su cui si chiude il film: lui e lei insieme su una bilancia che segna zero.

«Ferro 3» (nessun mistero: è una mazza da golf), benché l’autore si lasci talvolta prendere la mano da una simbologia che avrebbe richiesto meno allegati, riconcilia con un cinema di idee che scaturiscono dalle immagini. Dove il vagabondo (Hee-Jae) è Chaplin senza cattiveria né cinismo, e la donna (Seung-Yeon-Lee) è Lillian Gish senza i fiumi di lacrime dell’epoca del muto. Kim Ki-Duk non è un ottimista: sa soltanto che c’è molto da lavorare e che ognuno deve fare la sua parte.

FERRO 3/LA CASA VUOTA (Bin-Jip) di Kim Ki-Duk. Con Hee-Jae, Seung-Yeong-Lee.