«LA DONNA DI GILLES»
DI FRANCESCO MININNIL’intervallo di cinque anni trascorso tra «Una relazione privata» e «La donna di Gilles» ci dice qualcosa sul regista belga Frederic Fonteyne, soprattutto in ragione del fatto che il film precedente era stato un successo con qualche traccia di scandalo. Ci dice, innanzitutto, che Fonteyne non ha voluto cavalcare il successo con una replica inutile. Ci dice anche che questi cinque anni hanno coinciso con un periodo di riflessione che ha portato l’autore a rimettere in discussione il proprio stile e la propria idea stessa di cinema. Ci dice, insomma, che qualunque dubbio suscitato da quel film, per quanto legittimo, deve essere accantonato per lasciare il posto a nuovi orizzonti.
Più che sulla necessità di tradurre in film un romanzo del 1937 di Madeleine Bourdouxhe, che resta comunque un dato soggettivo e quindi difficile da analizzare, è opportuno concentrarsi sulle modalità di rappresentazione scelte da Fonteyne. Con i suoi ritmi necessariamente lenti, la sua parsimonia di parole, il suo gran lavoro sui volti e sulla gestualità degli attori, il suo rigore narrativo quasi bressoniano, i suoi colori totalmente privi di tonalità vivaci e spesso orientatii verso i contrasti chiaroscurali tipici del bianco e nero, «La donna di Gilles» rappresenta un tentativo coraggioso e complessivamente nuovo di riaccostarsi alle radici del cinema, quando tutto era espresso dall’immagine perchè il sonoro non era ancora stato inventato.
E, indipendentemente da quel che sarà l’esito commerciale del suo film, ha vinto, dimostrando che tornare alle radici non vuol dire rendere omaggio al passato, ma (semplicemente?) recuperare modalità espressive che sono appartenute al Chaplin di «Una donna di Parigi», al Murnau di «Aurora», al Griffith di «Giglio infranto». E che oggi in troppi mostrano di non conoscere.
LA DONNA DI GILLES (La femme de Gilles) di Frederic Fonteyne. Con Emmanuelle Devos, Clovis Cornillac, Laura Smet. F/B/L 2004; Drammatico; Colore