«FOUR BROTHERS»
In sostanza, «Four Brothers» è un thriller urbano di oggi che, tutt’al più, potrebbe assomigliare a un film di gangster degli anni Quaranta, ma certo non a un western. E d’altronde, siccome le situazioni potrebbero anche riecheggiare qualche storia di frontiera, si viene a creare una situazione di scompenso: non essendo né un film contemporaneo né un film retrò, «Four Brothers» ristagna in un limbo dove Detroit finisce per assomigliare a una galassia lontana lontana e ciò che accade non sembra accadere realmente.
John Singleton è autore sia di un thriller contemporaneo come «Boyz ‘n the Hood» sia di una clamorosa operazione nostalgia come «Shaft». «Four Brothers» si pone a mezza strada, di modo che ne risentono sia l’una che l’altra tendenza. La sceneggiatura, infatti, dà l’impressione di giovarsi fin troppo di certi luoghi comuni (il poliziotto onesto e quello corrotto, il boss potente e inetto, la gran quantità di armi e munizioni, quello che si può e quello che non si può fare davanti alla famiglia) che ormai hanno il fiato corto, per non parlare di certe innovazioni quanto meno discutibili (il personaggio della ragazza messicana sciocca e pericolosa, una resa dei conti in campo aperto con modalità poco credibili). Alla fine, nell’incertezza di aver assistito a un semplice spettacolo di violenza o a un tentativo di aggiornamento di temi classici, resta soltanto l’impressione di aver perso del tempo. E così non sappiamo più se John Singleton sia un analista del contemporaneo o soltanto un pessimista, fatalista e monotono rapper della violenza. Né lo aiuta la scelta degli attori che, mancando una spiccata individualità, si livellano in basso battendo strade già troppo percorse.
Se poi, per guadagnare il plauso della critica, è sufficiente mostrarsi «violenti, spietati e cattivi», ci torna in mente un pensiero di qualche tempo fa: ma non avremo sbagliato pianeta?
FOUR BROTHERS (Id.) di John Singleton. Con Mark Wahlberg, Tyrese Gibson, Andrè Benjamin, Garrett Hedlund. USA 2005; Thriller; Colore