«MUNICH»

DI FRANCESCO MININNISteven Spielberg ha due caratteristiche del maestro: la sicurezza e la voglia di saperne di più. Sia quando, come in «The Terminal», racconta la favola del sogno americano, sia quando, come in «Munich», va a frugare tra le pieghe della storia ufficiale per raccontare una verità scomoda e diretta. Proprio per questo, perché «Munich» non ha soddisfatto gli americani e ha decisamente fatto arrabbiare gli israeliani, sono giunte impreviste le candidature all’Oscar.

Ma queste sono cose che riguardano i meccanismi dello spettacolo. A noi interessa sottolineare la compattezza, la lucidità, il coraggio di un film che, egregiamente costruito come un thriller e frenato soltanto da un eccesso di durata che finisce per apparentarlo al kolossal, rievoca senza reticenze un episodio legato al dopo-Monaco. A quando cioè, nel 1972, un commando di Settembre Nero sequestrò la squadra olimpionica israeliana uccidendo undici atleti e scatenando la durissima reazione del Mossad.

La forza di «Munich» sta nel fatto che, diversamente da quanto trapelato nel corso delle riprese, non siamo di fronte alla ricostruzione dell’eccidio nel villaggio olimpico e all’aeroporto. Spielberg si è concentrato invece, sulla base del romanzo «Vendetta» di George Jonas, sulla reazione israeliana affidata dal primo ministro Golda Meir a un commando (in realtà furono più di uno) guidato da Avner Kauffman. Così facendo, Spielberg può esporre il suo pensiero su molte cose: la violenza, la vendetta, la famiglia, le catene di sangue senza fine, le organizzazioni internazionali, il fatto di poter arrivare a chiunque in qualunque luogo, i fili sottilissimi che reggono gli equilibri mondiali e, a un certo punto, il desiderio di staccare per riappropriarsi di una vita che, comunque, non potrà più essere normale. Indimenticabili, a questo proposito, la scena d’amore tra Avner e la moglie, intercalata dai flashback della strage all’aeroporto, e l’ultimo incontro con il superiore del Mossad che, invitato a cena e quindi a spezzare il pane con Avner, rifiuta. Così il tema della vendetta si lega indissolubilmente a quello della non riconciliazione.

Tutti bravi gli attori, con un Eric Bana finalmente lontano dai blockbuster più interessati ai muscoli che all’interiorità e un Geoffrey Rush perfetto nei panni del capo del Mossad.

Cosa ha fatto arrabbiare gli israeliani? Principalmente il fatto che l’operato del Mossad sia equiparato a quello di una banda di terroristi. Ma più ancora la divulgazione di un episodio che, nonostante pronte smentite, appare plausibile e, con un film così, assume una visibilità di cui qualcuno avrebbe fatto volentieri a meno.

MUNICH (Id.) di Steven Spielberg. Con Eric Bana, Daniel Craig, Geoffrey Rush, Mathieu Kassovitz, Michel Lonsdale. USA 2005; Drammatico; Colore