«ANGEL-A»

DI FRANCESCO MININNILuc Besson ambisce ad essere lo Spielberg europeo. Ma sarebbe più opportuno dire il Lucas, perché la sua attività di regista si alterna, anche con intervalli di anni, a quella di produttore, seguendo una traccia operativa che dovrebbe portarlo al consolidamento della popolarità europea e alla conquista del mercato americano. Il suo nuovo film, «Angel-A», che arriva dopo sette anni di riflessione e di produzioni, sembra fatto apposta per spiazzare i suoi più affezionati ammiratori. Sembra soltanto, perché applicare a Besson l’etichetta di buonista è improbabile quanto arrampicarsi a mani nude sul Monte Bianco. E «Angel-A», un film in bianco e nero e relativamente a basso costo, buonista non è.

A Parigi, un extracomunitario pieno di debiti e senza documenti medita il suicidio. Sul ponte prescelto per buttarsi, però, c’è anche Angela, che si butta prima di lui. André la salva e poi accetta il suo aiuto per risolvere i suoi problemi. Così Angela, tra una marchetta e qualche sganassone, lo fa ritrovare con le tasche piene di soldi prima di confessargli candidamente di essere un angelo mandatogli dal cielo. André ci mette un po’ a crederle, ma poi deve prendere atto che le cose stanno proprio così. E anche se i due finiscono per innamorarsi, resta il fatto che, a missione conclusa, Angela dovrebbe comunque rientrare alla base…

Il dato più significativo del film è una Parigi in bianco e nero che, così bella, non si vedeva da anni (forse neanche ad andarci di persona). Il resto, però, lascia fortemente perplessi. È evidente che Besson crede molto negli extracomunitari e pochissimo negli angeli: André fa cose da extracomunitario, mentre Angela picchia, batte il marciapiede e, alla fin fine, non ci pensa due volte a smettere le ali e a restare con i piedi per terra. Se consideriamo che l’incipit del film è esattamente quello de «La vita è meravigliosa» di Frank Capra (il meditato suicidio, il ponte, il salvataggio), bisogna concludere che gli angeli non sono più quelli di una volta. La contrapposizione tra Jamel Debbouze, un marocchino basso, scuro e bruttino, e Rie Rasmussen, una svedese bionda, altissima e decisamente attraente, sembra troppo prevedibile per riservare sorprese. Il bianco e nero associato agli angeli in crisi d’identità, d’altronde, non può non far pensare a Wim Wenders e al suo «Il cielo sopra Berlino».

Tutto questo per dire che «Angel-A», animato da buone intenzioni, si smarrisce dietro le fonti e soprattutto è penalizzato da un uso strumentale della figura dell’angelo tratteggiata e delineata da qualcuno che non ci crede. Ecco perché il presunto buonismo di Besson si ferma di fronte al ruolo sociale dei due personaggi: Angela aiuta André a ritrovare coraggio e fiducia in se stesso, André aiuta Angela a ritrovare un’identità. Come dire che l’altezza giusta è quella delle strade, che non si arriva a niente vivendo in una fogna o sopra le nuvole. Che Besson non fosse un mistico lo avevamo capito da «Giovanna d’Arco»: chissà perché si ostina a guardare verso il cielo con il rischio di essere colpito da un fulmine.

ANGEL-A (Id.) di Luc Besson. Con Jamel Debbouze, Rie Rasmussen. FRANCIA 2006; Commedia; Bianco e nero