«TOUGH ENOUGH»

DI FRANCESCO MININNIGioventù bruciata: se ne parla da decenni e non si risolve niente. Perché, purtroppo, è l’evoluzione del mondo in cui viviamo a rendere sempre più difficile fare una scelta che implichi principi e coscienza. Il che rende la soluzione peggiore quasi sempre la più facile e, in certo qual modo, redditizia. Il tedesco Detlev Buck, dopo essersi lungamente documentato nei quartieri poveri di Berlino, nelle scuole e nei luoghi di ritrovo, ha realizzato «Tough Enough», un film duro e privo di compiacimenti, realistico come un film-inchiesta, sporcato nell’immagine da una pellicola di grana grossa e da un colore privo di tonalità accese.

È la storia di Michael, un quindicenne allo sbando che da un giorno all’altro si ritrova da un quartiere borghese in uno più che popolare. Sua madre passa da un uomo all’altro senza rappresentare alcuna certezza, le vicende scolastiche portano inevitabilmente a episodi di violenza, gli unici insegnamenti che gli arrivano dagli adulti sono su come potersi difendere dai prepotenti. Fatalmente Michael entrerà in contatto con la malavita organizzata, diventando un corriere della droga. Se però l’escalation della violenza diventa troppo vertiginosa, anche un’anima persa come Michael può trovarsi nella necessità di dover fare una scelta.

In realtà il discorso di Buck non è né moralistico né rassicurante. Al punto che il finale proposto non indica una strada precisa: si tratta soltanto di un passo iniziale che ognuno dovrà elaborare con i propri strumenti. In realtà «Tough Enough» (che significa più o meno «abbastanza duro») non ha grandi novità da proporre e si inserisce in una tendenza che, con modalità diverse, è già abbastanza diffusa. Basta pensare, in tempi recenti, a «Certi bambini» dei fratelli Frazzi o, in tempi meno recenti, ad «Arancia meccanica» di Stanley Kubrick. Tutto questo porta alla triste conclusione che il minor impatto che certe storie possono avere su di noi non è dovuto al maggiore o minore effetto della vicenda, quanto piuttosto al fatto che ormai violenza, emarginazione, male di vivere e disagio psicologico ci trovano assuefatti e quindi, in una certa misura, complici.

Certo, il lavoro di Buck è consapevole e motivato. Non nuovo né particolarmente originale, ma indubbiamente realizzato con un taglio espressivo che allontana qualunque piacevolezza. E d’altronde, cosa potrebbe esserci di piacevole in un’esistenza grigia e apparentemente condannata a un grigiore sempre più tendente al nero? Come esprime molto bene il giovane protagonista David Kross, con quella faccia rassegnata che ogni tanto sembra alla disperata ricerca del blu del cielo.

TOUGH ENOUGH (Knallhart) di Detlev Buck. Con Jebby Elvers-Elbertzjagen, David Kross, Jan Henrik Stahlberg. GERMANIA 2006; Drammatico; Colore